I piccoli martiri dell’Isis
“Più l’Is è in difficoltà, più cresceranno i piccoli martiri”. Con queste parole Renzo Guolo, autorevole sociologo e islamista trevigiano, commenta le tragiche esplosioni suicide di Gaziantep e Mosul. Due feriti a Mosul, cinquantaquattro vittime a Gaziantep. Nella città turca, durante una festa di matrimonio, un bambino di appena dodici anni ha fatto deflagrare la cintura esplosive che indossava, provocando un inferno di distruzione e morte. Delle vittime 29 sono bambini, 22 avevano meno di 14 anni. Sessantasei i feriti ricoverati in ospedale, 14 in condizioni gravissime. In mezzo al mucchio di cadaveri c’è anche un bambino di tre mesi.
Il giorno dopo, a migliaia di chilometri di distanza, viene fermato un altro ragazzo di quindici anni. Indossa la maglia del Barcellona, di Messi in particolare. Siamo a Kirkuk, in Iraq, dove i peshmerga curdi stentano a riprendere il controllo della regione. Un video riprende l’arresto del quindicenne, impaurito mentre i poliziotti cautamente gli tolgono l’esplosivo che ha attorno alla vita e poi con maggiore decisione lo portano via. Gli applausi degli agenti festeggiano il disinnesco dell’ordigno. Il ragazzo, invece, piange. Probabilmente neppure immagina a quale destino è sfuggito.
Qualche ora dopo, un nuovo colpo di scena. Si scopre che poco prima dell’arresto del piccolo kamikaze con la maglia del Barcellona, il fratello si era fatto saltare in aria in una moschea a Mosul, città santa dell’islamismo sciita. Secondo le prime indiscrezioni sarebbe stato il padre dei due fratelli a incoraggiarli a compiere azioni suicida, promettendo loro il paradiso terrestre.
L’emblema di tutta questa storia è racchiusa negli occhi del giovane fan del Barcellona, pieni di terrore per aver tradito la fiducia dei propri cari e del fratello, martire di appena un’ora prima. Un ragazzo che, al contrario, dovrebbe sognare i campi da calcio e i giochi tra amici, come suggerisce la maglia che indossa.
di Giovanni Antonio Fois