Meno di un pugno di terra
Sulle condizioni di vita dei migranti del casertano
Se dovesse venirci la voglia di girare nelle campagne in cui comanda il clan dei casalesi, potremmo vedere altro che non farebbe la fortuna di nessun film, o porterebbe al successo una qualche fiction criminale. Se dovesse venirci questo tipo di voglia, potremmo vedere che non ci sono solo le storie di padrini, di principesse di quartiere, di avvocati e di riciclaggio di denaro sporco. Nelle campagne del casertano, antiche e ricche di tradizioni enogastronomiche, ci sono degli oggetti che qualcuno chiamerebbe “uomini”, se non avessero il colore sbagliato della pelle, se non fossero così ostaggi della fatica, dello sfruttamento e della minaccia, da non valere nemmeno un pugno della terra che lavorano e di cui sono schiavi. La criminalità organizzata ingrassa sul loro sudore, prospera sulla pietà che li circonda, lucra sulla loro condizione disperata.
Nelle campagne del casertano, in un clima di sconvolgente normalità, si può assistere alla chiamata dei caporali fuori del centro d’accoglienza di Villa Literno: senza che nessuno intervenga, vengono a prendere i rifugiati per farli lavorare 12 ore sotto il sole, senza cibo e sotto minaccia, perché chi s’azzardi a protestare rischia la vita. Oppure può succedere qualcosa di assurdo, come in una struttura privata gestita da una cooperativa di San Pietro In Fine, dove i migranti vivevano in condizioni pietose, dopo aver passato l’inverno senza riscaldamento e senza adeguati servizi igienici, derubati dei pochi spiccioli di diaria loro concessa: quando hanno osato rivolgersi alle autorità, sono stati messi in mezzo ad una strada per ore, per far capire loro chi comandi. Ogni tanto i migranti si sono organizzati, si sono ribellati, hanno incrociato le braccia ed hanno protestato; ma l’unica eco che resti della loro rivolta, sembra essere una sorta di rimprovero dell’irriconoscenza per quanto han dato loro, anche se su quel “quanto” ci sarebbe di che discutere, perché ciò che loro arriva, non è mai quanto eroghi lo Stato.
Ma finché ci saranno sciacalli che agiteranno la bandiera dell’odio e della paura, verso gli ultimi della terra, monopolizzando la questione dei migranti solo sulla loro presunta pericolosità, sui costi a carico della collettività, sugli eventuali disagi delle popolazioni residenti, non ci sarà nessuno a chiedere loro da cosa siano fuggiti, abbandonando i loro cari a rischio della vita; non ci sarà nessuno a chiedere quale speranza li abbia spinti ad attraversare la guerra, il deserto ed il Mediterraneo. E non ci sarà nessuno a chiedere loro se si sentano ancora degli esseri umani, quando vengono obbligati a lavorare la terra, sotto minaccia della vita, come gli schiavi di un tempo. Su di loro, oltre a quello inumano dei “caporali”, si abbatte anche lo sfruttamento delle organizzazioni di scafisti, delle società che dovrebbero erogar loro i servizi minimi di sussistenza ma che poi li rinchiude in strutture indegne di un paese civile. Per non parlare della criminalità organizzata, che li obbliga a comprare da loro il cibo, che spaccia loro la droga con cui sopportare la fatica del lavoro (o li recluta per smerciarla ad altri disperati), che venda loro il sesso.
Se in un paese come il nostro la dignità dell’essere umano dovrebbe essere un diritto, visto che ai migranti è così palesemente negata, allora vuol dire che essi agli occhi dei più hanno perso la qualifica di uomini, diventando degli oggetti, la res nullius di cui chiunque può approfittare, per arricchirsi e della quale disfarsi quale rifiuto, quando non dovesse più produrre profitto. Ecco che allora si può dar loro da mangiare cibo indegno di esseri umani, o li si può alloggiare in strutture fatiscenti, tanto lo Stato paga lo stesso e non controlla: l’importante è che dei rifugiati si parli poco, che non si ricordi ai cittadini della loro presenza. E se qualcuno abusi del loro lavoro, va sempre bene, così i campi torneranno ad arricchire qualcuno, grazie alla loro fatica.
Hanno lasciato un inferno, in cui non potevano più vivere, attraverso un’odissea di pericoli e violenze, per giungere in un paese civile in cui invece di dignità, hanno trovato altri soprusi, altri rischi e sfruttamento, cioè un altro inferno in cui la loro dignità sia negata e nel quale la loro vita valga meno di un pugno della terra che lavorano da schiavi.
di Mario Guido Faloci