Il calcio in lutto: il piccolo Bradley non ce l’ha fatta
“Ciao amico mio, mi mancherai molto. Non puoi capire quanto mi hai cambiato come persona”. La firma è Jermain Defoe, attaccante inglese del Sunderland oggi al Bournemouth. L’amico invece è un bambino, Bradley Lowery, morto ad appena sei anni lo scorso 7 luglio a causa di un neuroblastoma.
Bradley era tifosissimo del Sunderland, squadra che nel 2015 aveva acquistato Defoe, partito per Toronto dopo cinque anni, e oltre 50 reti, al Tottenham. Fu una stagione incredibile per l’attaccante inglese che con 15 gol divenne l’idolo degli spalti.
In tribuna non c’era Bradley. Avrebbe voluto esserci, per seguire da vicino tutta la stagione dei suoi “gatti neri” (questo il nomignolo della squadra bianco rossa). Invece fu costretto a rimanere in ospedale, attaccato ai macchinari che lo tenevano in vita, continuamente monitorato dai medici. Gli fu diagnosticato un neuroblastoma, un tumore maligno caratteristico del bambino. Inutili gli appelli e le raccolte fondi dei genitori per pagare le cure negli Stati Uniti, Bradley era un malato terminale: gli restavano poco meno di due anni di vita.
Era il 2013 quando la notizia sconvolse la famiglia Lowery. Nello stesso anno, qualche chilometro più lontano, precisamente a Saint Lucia, isola dei Caraibi, Jermain Defoe istituiva una fondazione che si prendesse cura dei bambini senza fissi dimora di quel luogo, da dove cinquant’anni prima, erano partiti i suoi nonni alla volta del Regno Unito.
Nella testa del calciatore, i più piccoli, hanno sempre avuto un posto particolare. Così quando la sua nuova squadra gli disse che era in programma una vista al reparto infantile dell’ospedale di Sunderland, Defoe fu il primo a voler aderire.
Quando entrò nella stanza di Bradley qualcosa scattò in entrambi. Per il bambino non era semplicemente il capocannoniere della sua squadra del cuore, era un supereroe in carne ed ossa che vedeva per la prima volta. Nacque un’amicizia vera, fatta di incontri lontani dagli scatti o dai riflettori, di visite a casa, di aiuti anche economici. Ma soprattutto di vicinanza, di parole, di abbracci. “Voglio passare più tempo possibile con te, amico mio” disse l’attaccante. E così ha fatto.
E se agli occhi di Bradley l’eroe era Defoe, per tutti gli appassionati di calcio il vero fenomeno divenne il bambino. All’entrata in campo con il Sunderland, o a Wembley con la nazionale inglese, tutti si innamorarono di quel piccolo calciatore spensierato, senza tristezza, felice. Come tutti i bambini che inseguono un pallone.
È entrato nel cuore di tutti, specialmente in quello di Defoe: “È stato difficile, ho tenuto tutto dentro per cercare di essere forte per me, per la mia famiglia e per quella di Bradley. Ma davvero non saprei come esprimere quello che provo. Con lui ho una relazione speciale, personale. Sono preparato a tutto, ma non lo dimenticherò mai”.
di Lamberto Rinaldi