Quando la coscienza resta dietro un reticolato

In Europa, ma anche negli altri Paesi occidentali, sono in continua crescita i partiti e i movimenti xenofobi che alimentano, e lucrano, sulle paure di popolazioni già fiaccate dalla crisi economica.

Le ricette proposte da queste forze politiche di fronte alle migrazioni di massa sono fatte di muri ed espulsioni. Misure tanto crudeli quanto inutili perché impotenti davanti ad una marea umana che fugge da guerre, fame e carestie.

Quella che viviamo è una questione epocale che coinvolge politica, economia, potere militare e questione ambientale. Oltre che la vita di milioni di persone. Quello con cui ci confrontiamo è un fenomeno complesso ed è stupido pensare di risolverlo con un reticolato.

Governati e opinione pubblica dovrebbero, piuttosto, prendere coscienza di quanto accade nel sud del mondo e predisporre, sulla base delle cause individuate e del numero delle persone coinvolte, dei piani pluridecennali di intervento.

Purtroppo l’ignoranza domina e gli impresari della paura fanno affari.

Onestamente, cosa sappiamo di quello che accade in Africa? Della strage di Mogadiscio, quasi trecento persone uccise da un camion bomba il 14 ottobre scorso, ci è arrivato solo un eco lontano. E solo perché gli assassini erano terroristi islamisti.

Che ne sappiamo, ad esempio di quanto accade in Sud Sudan, un paese senza sbocco sul mare nel centro-est dell’Africa.

Eppure dovrebbe importarci di come una regione agricola che sfamava milioni di sudanesi è diventata un campo di morte dal quale sono state costrette a fuggire centinaia di migliaia di persone.

Il Sud Sudan nel 2011, dopo la secessione dal Sudan, è diventato uno stato indipendente a seguito di un referendum passato con quasi il 99% dei voti favorevoli. Solo due anni dopo l’indipendenza è scoppiato un conflitto su base etnica tra le forze governative del presidente Kiir, di etnia Dinka, e quelle che sostengono l’ex vicepresidente Machar di etnia Nuer.

In questi anni le forze governative e quelle di opposizione hanno commesso crimini contro la popolazione civile, causato terrore e fame e costretto centinaia di milioni di persone ad abbandonare la loro terra. Il cibo è diventato un’arma di guerra e le due parti in conflitto hanno bloccano selettivamente le forniture, saccheggiato i mercati e le abitazioni, razziato il bestiame.

Dall’inizio della guerra civile tre milioni di sud sudanesi hanno abbandonata la propria casa. La maggioranza ha cercando rifugio all’interno dei confini nazionali e quasi un milione di persone si è rifugiato in Uganda, un paese di 33milioni di abitanti con un reddito medio di 1.250euro.

Nella nostra Unione Europea, un continente di oltre 500milioni di abitanti e un reddito pro-capite di circa 15mila euro, le stime più allarmiste parlano di 2milioni di rifugiati.

Quello che stiamo vivendo in Europa è dunque un’invasione? Certamente no, ma cosa potrà accadere se non smetteremo di comportarci come spettatori distratti di quanto accade in Africa e indifferenti alla condizione di vita dei suoi popoli?

Il nostro è un piccolo pianeta interconnesso. Il futuro dell’Africa, in qualche modo, sarà il nostro.

di Enrico Ceci

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