ZHONG ZHONG E HUA HUA

Nella preoccupata attesa che, prima o poi, possa toccare agli esseri umani, due piccole scimmie, Zhong Zhong e Hua Hua, sono nate per clonazione in un laboratorio della Cina. Gli addetti ai lavori hanno salutato l’evento come un’importante conquista scientifica, dal momento che clonare i primati (biologicamente più simili agli esseri umani rispetto alle pecore) richiede procedure complesse e difficili. Ma non pochi dubbi sono stati sollevati sull’eticità di questo tipo di esperimenti e sui loro limiti, in particolare dal mondo cattolico: “il passaggio dalla prima pecora Dolly ad altri animali e ora persino alla scimmia, ovvero a un primate così vicino all’uomo, rappresenta un autentico attentato al futuro dell’intera umanità”, secondo l’ex presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Altri, a prescindere da valutazioni religiose, ritengono non etico l’uso indiscriminato degli animali nella ricerca biomedica: “ne emerge l’idea che gli animali siano sacrificabili, comodità a nostra disposizione”, secondo Kathleen Conlee, della Humane Society degli Stati Uniti.

Non sono quesiti di poco conto, dal momento che la possibilità tecnica di clonare più diffusamente gli animali, o di passare agli esseri umani, è ora più vicina e reale. E che la tentazione di mettere in pratica queste possibilità non può essere esclusa nel mondo – così poco etico – in cui viviamo. In fondo, le possibilità tecnico-scientifiche della genetica si sono già trasformate in speculazione economica nel campo dell’agricoltura con gli OGM, che hanno portato enormi guadagni a pochi monopolisti, più che benefici all’umanità. Ci vuol poco che anche la clonazione possa diventare “business” con l’aiuto di qualche vorace multinazionale.

E non è per niente tranquillizzante il riaffiorare di ideologie politiche poco rassicuranti in diversi Paesi, né la presenza di regimi incontrollabili e dispotici in altri.

Comunque, se i dubbi sotto il profilo etico sono irrisolti, almeno se ne parla; poco, però, si critica l’effettivo valore scientifico di queste sperimentazioni. Sono davvero necessarie – o, per lo meno, utili – alla scienza? Prospettano benefici per gli esseri umani? Credo che anche i non addetti ai lavori debbano avere qualche idea sul senso scientifico della clonazione, perché ciò consente una migliore valutazione etica e (perché no?) anche qualche scelta politica. Perché, se oggi la clonazione è soltanto un fatto sperimentale e, per così dire, di nicchia, domani potrà essere attuata su scala ben più ampia. Potrà, ad esempio, diventare un metodo diffuso nella zootecnia. Se ne è parlato di meno, ma già sono stati attuati esperimenti in tale direzione: una cavalla (dal suggestivo nome Prometea) ed un toro (chiamato un po’ presuntuosamente Galileo) sono già stati clonati in Italia negli scorsi anni. D’altronde, non possiamo illuderci che una biotecnologia così importante resti confinata in pochi laboratori scientifici e che, col tempo, non diventi più facile, economica e diffusa.

Ma è davvero utile avere pecore, cavalli, tori o scimmie geneticamente identici?

In realtà, la natura fa di tutto perché ciò non avvenga.

I batteri, diversamente dagli organismi complessi, si riproducono con una sorta di clonazione naturale: si duplicano all’infinito in individui identici. Tuttavia, il fenomeno della resistenza agli antibiotici dimostra che riescono comunque a modificarsi, perché glielo consentono due fattori che gli organismi più evoluti non hanno: la rapidità del processo riproduttivo (in pochi giorni si moltiplicano a dismisura) e la capacità di scambiarsi materiale genetico “orizzontalmente”, cioè tra compagni della stessa colonia. Se sopravvivono agli antibiotici, fino al punto di mettere in crisi la nostra medicina, è per la variabilità del loro patrimonio genetico.

Ma se il mondo animale si è evoluto fino agli esseri umani, ciò è avvenuto perché la natura ha poi introdotto un’altra modalità riproduttiva, ben diversa dalla clonazione: la riproduzione sessuata.

I vantaggi di questa modalità vanno ben oltre gli innegabili piaceri del sesso.

Uno è quello di mantenere una linea cellulare, i gameti, che tramandano di generazione in generazione un patrimonio genetico sempre ugualmente giovane. L’altro è quello di consentire, ad ogni fecondazione, il rimescolamento del patrimonio genetico proveniente dai due genitori: è il cosiddetto “crossing over”. E’ in po’ come rimescolare le carte tra una partita e l’altra: nessuno giocherebbe con le carte sempre nello stesso ordine. E’ questo, ciò che garantisce la variabilità degli individui. La natura, insomma, ha fatto in modo che gli esseri viventi più evoluti (uomo compreso) non possano essere tutti uguali, come invece avviene nella clonazione. Se fossimo tutti uguali, saremmo già estinti: per esempio, saremmo morti tutti per una delle tante pandemie che hanno sconvolto l’umanità. Se fossimo tutti uguali non nascerebbe mai un genio: è la variabilità che consente la nascita dei Dante, dei Beethoven e degli Einstein. Se non ci fosse, egualmente, variabilità nel mondo vegetale, non avremmo potuto migliorare le piante di cui ci nutriamo, che sono le varianti più ricche selezionate ed incrociate nei secoli dagli agricoltori. Senza ricorrere alle manipolazioni genetiche, abbiamo ottenuto la rosa damascena e la rosa tea partendo dall’umile rosa canina; cereali più ricchi da scarne spighette selvatiche; frutti dolci e nutrienti da piccoli frutti immangiabili. E questo, solo lavorando sulla spontanea variabilità della vita. Se la natura avesse premiato la clonazione, anziché la riproduzione sessuata, tutto ciò non sarebbe stato possibile. E, a dire il vero, non sarebbe stato neppure necessario: perché noi per primi saremmo ancora amebe o spugne.

Con la clonazione artificiale, noi scimmiottiamo un metodo obsoleto, che la natura stessa ha abbandonato, perché biologicamente svantaggioso. E noi, che vantaggio potremmo trarre da questo artificiale passo indietro?

Secondo me nessuno, neanche sotto il profilo strettamente scientifico.

Le basi della genetica sono state poste da un oscuro frate agostiniano dell’ottocento (Gregor Mendel) che ha scoperto le leggi fondamentali dell’ereditarietà osservando come si trasmettono i diversi caratteri delle piante di pisello; non clonandole, ma incrociandole e sfruttandone le piccole diversità. La struttura a doppia elica del DNA ed i meccanismi biomolecolari della trasmissione genetica sono stati scoperti alcuni decenni prima della nascita della pecora Dolly. Il genoma umano è stato codificato nel 2003 senza bisogno alcuno di clonazioni. L’ingegneria genetica ed il sistema CRISPR/Cas hanno ottenuto risultati impressionanti senza ricorrere alla clonazione.

Né si può dire che la zootecnia abbia bisogno di questa tecnica.

Il purosangue inglese è frutto di incroci e non di clonazioni. La pecora merinos è stata selezionata dagli allevatori del medio oriente, forse due millenni prima della pecora Dolly. Questo per dire che la selezione, basata sulla naturale variabilità degli individui (derivante, va da sé, dalla riproduzione sessuata) ha ottenuto risultati notevoli da tempo immemorabile. Rispetto ai quali la clonazione rappresenta un metodo grossolano; magari tecnologicamente interessante, ma biologicamente inutile.

Mi sembra, per concludere, che la clonazione artificiale abbia poco a che vedere con la ricerca dei segreti della natura; che si iscriva in un ambito scientifico poco ambizioso; idoneo – sì – al miglioramento delle tecnologie, ma privo di respiro ed orizzonte. Che non serva tanto al progresso del genere umano, quanto alla carriera accademica di qualche ricercatore.

Il fatto è che anch’io, nel mio piccolo, avrei un sogno: una scienza che osservi e segua la natura, anziché forzarla e tradirla. Che non insegua lo “scoop”, ma la conoscenza. E che non ci lasci la preoccupazione che qualche apprendista stregone possa usarla a danno dell’umanità.

di Cesare Pirozzi