In spirito di servizio

Dopo cinque anni di pontificato di lavoro, da più parti si sono fatti bilanci per i risultati raggiunti da papa Francesco.

Si è messa in risalto la sua statura politica, il suo dedicarsi ai più deboli, agli invisibili, agli ultimi della terra.

Meno attenzione è stata data al suo lavoro primario, quello di rifondare la chiesa cattolica secondo il messaggio di amore e di misericordia dei cristiani dei primi secoli e le aperture del concilio vaticano.

Meno attenzione perché il vero messaggio del suo pontificato è scomodo. Forse perché molte sono le resistenze interne all’apparato curiale, tali anche da marcare una presenza sui media.

Forse perché essere cristiani oggi è il vero modo di essere antisistema.

Forse perché è rivoluzionario credere che oggi, nel terzo millennio, il motore del progresso non possa essere il profitto, ma debba essere la solidarietà fra tutti, in ogni parte della terra, per tutte le donne e gli uomini.

Le difficoltà più grandi sono all’interno della “istituzione” chiesa.

Nelle scorse settimane si è tenuta in Vaticano la 23° Riunione del Collegio degli 8 cardinali. Non si parla più della fine dei lavori, forse una curia veramente cristiana potrà aversi solo come riforma permanente.

Quello che è certo è che Francesco non si avvarrà mai del NOI della cosiddetta infallibilità papale; che per lui il noi significa la collegialità delle scelte, cioè il “primato diaconale”, come “servus servorum Dei”. Come una volta, ai primi tempi della Cristianità …

Quello che è certo è che per Francesco sono destinati a finire i cardinali e i vescovi prìncipi della chiesa, quelli con appartamenti sfarzosi di centinaia di metri quadri, e con loro quei i parroci che non sono pastori, ma padroni del gregge e senza misericordia. E questo fa comprendere come Francesco, nella chiesa cattolica, abbia il conforto della base, degli ultimi, ma anche l’ostilità dell’apparato.

Già, si chiama cattolica, cioè universale. Ma in realtà, dopo duemila anni, è piuttosto la chiesa dei paesi occidentali, al più con quelle che una volta erano le Colonie geografiche ( lo sono anche adesso, ma colonie solo economiche). Francesco a quella universalità crede, e ad essa dedica molta attenzione. Anche se, sul lavoro internazionale della chiesa, imperversano le “fake news”

Come per esempio per la Cina, con la quale il Vaticano sta cercando un dialogo, magari per un viaggio del papa. E questo ha creato qualche problema, perché nel recente passato anticomunista la chiesa ufficiale cinese era scomunicata e non aveva rapporti con la chiesa clandestina. Questo per comprendere le proteste del card. Zen Ze-Kiun, già vescovo di Hong Kong, molto ostile alla repubblica cinese di Xi Jinping.

Per esempio per l’India, dove sono state attribuite al card. George Alencherry malversazioni su vendite di terreni, negate dall’interessato con appoggio degli uffici vaticani.

Si potrebbe continuare a lungo, su queste cose. Basta pensare alla squallida vicenda della recente lettera di Benedetto XVI° a Francesco, di sostegno agli aspetti teologici delle sue pubblicazioni ma contenente un giudizio negativo su uno dei curatori. L’unico risultato sono state le dimissioni di un validissimo giornalista, Mons. Dario Edoardo Viganò da prefetto della Segreteria per la comunicazione. Papa Francesco le ha accettate (anche se con molta fatica, ha scritto in una lettera indirizzata al Viganò) chiedendogli di continuare a dare il suo contributo come assessore e scrivendo testualmente come “la riforma della Chiesa non sia anzitutto un problema di organigrammi quanto piuttosto l’acquisizione di uno spirito di servizio”.

Cinque anni di pontificato sono passati.

La chiesa cattolica non sarà più la stessa, dopo il lavoro di Francesco.

Un lavoro fatto con il primato diaconale, in spirito di servizio.

Come si legge negli Atti degli Apostoli: “Lo Spirito Santo e noi”…

di Carlo Faloci