Cosa Nostra spiegata ai ragazzi
“Cosa Nostra spiegata ai ragazzi” di Paolo Borsellino, il magistrato ucciso il 19 luglio 1992 nella strage di via D’Amelio a Palermo, è un libro che raccoglie la lezione tenuta nel 1989 ad una scuola di Bassano del Grappa. La prefazione di Salvatore Borsellino, fratello minore del giudice assassinato insieme alla sua scorta, che dopo la Strage ha fondato il movimento “Agende rosse” per cercare la verità sulle stragi e sulla trattativa Stato-mafia.
“ Amo la mia terra, nella vita non avevo altra scelta”. Sono molte le cose che Paolo Borsellino ha detto agli studenti, sono importanti e sono necessarie per capire le scelte di un uomo che ha dedicato la vita per combattere la mafia, con la speranza che solo l’impegno delle nuove generazioni può cambiare lo stato delle cose. Nella prefazione di suo fratello Salvatore ce la convinzione che la maniera più giusta per fare arrivare ai giovani di oggi, che non erano nati quando il giudice fu ucciso, il pensiero di Paolo Borsellino, sia quella di riportare fedelmente le sue parole, senza travisarle o decontestualizzarle e facendone così perdere la forza o addirittura alterandone il significato.
Paolo aveva molto da insegnare ai giovani e li cercava continuamente. Amava farlo, seguendo l’insegnamento del giudice Rocco Chinnici, che a lui, che prediligeva il diritto civile e a questo si era dedicato, aveva assegnato il primo processo di mafia:l’assassinio del capitano Basile e di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Scrive Salvatore Borsellino nella prefazione di “Cosa Nostra spiegata ai ragazzi” in una lettera, la sua ultima lettera, rimasta incompiuta e che abbiamo trovato subito dopo la sua morte sulla sua scrivania, Paolo risponde ai ragazzi di un liceo di Padova che per iscritto, gli avevano posto delle domande: “ il 4 maggio 1980 uccisero il Capitano Emanuele Basile, il Procuratore Rocco Chinnici volle che mi occupassi io dell’istruzione del relativo procedimento. Nel mio stesso ufficio frattanto era approdato, provenendo anche egli dal civile, il mio amico d’infanzia Giovanni Falcone e sin da allora capii che il mio lavoro doveva essere un altro. Avevo scelto di rimanere in Sicilia e a questa scelta dovevo dare un senso.
I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso a occuparmi quasi casualmente, ma se amavo questa terra di essi dovevo esclusivamente occuparmi”. Una lettera che ci aiuta a comprendere fino in fondo la generosità di un uomo, un padre, un giudice, come Paolo Borsellino. “Se amavo questa terra” e Paolo la sua terra, il suo paese, la sua patria, la amava davvero, tanto da sacrificare la sua vita per essa, anche dopo aver scoperto che pezzi deviati di quello Stato che aveva giurato di servire avevano avviato una trattativa, deciso di scendere a patti con gli assassini di suo “fratello”, con gli assassini di Giovanni Falcone. Non tralascia nulla, Salvatore Borsellino, il fondatore del movimento Agende rosse, in questa prefazione, non fa sconti a nessuno, perché conosce i fatti per come sono realmente accaduti, anche se la verità è ancora nascosta, ma prima o poi verrà fuori.
Questo è il suo impegno, in memoria di Paolo e di quanti hanno dato la vita per combattere Cosa Nostra. Scrive ancora Salvatore, dopo la Strage di Capaci, dopo la morte di Giovanni Falcone, Paolo è certo che anche il suo momento è ormai molto vicino, che la morte è solo una questione di pochi giorni tanto che quando alle 6 del mattino del 19 luglio, mentre sta scrivendo la sua ultima lettera, gli arriva un’insolita telefonata del suo procuratore capo, Pietro Giammanco, che gli fa intuire che quello potrebbe essere il suo ultimo giorno, a Palermo è già arrivato il carico di esplosivo che servirà per ucciderlo. E allora, dice Salvatore, il fratello di Paolo, il coraggio da solo non basta. Ci vuole qualcos’altro, qualcosa di più forte, qualcosa che ti faccia restare al tuo posto anche quando restare al tuo posto significa morire, lasciare la tua famiglia, sacrificare la tua vita. E questa cosa non può essere che l’amore, scrive Salvatore, quell’amore che ha ispirato tutta la vita di Paolo, quell’amore che nutriva soprattutto per i giovani ai quali, sempre in quella sua ultima lettera scrive: “Sono ottimista perché vedo che verso di essa ( la criminalità mafiosa nda ) i giovani, siciliani e no, hanno oggi un’attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai 40 anni.
Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di combattere di quanto io e questa generazione ne abbiamo avuta”. Arriva ad accusarsi di indifferenza soltanto perché fino a 40anni, quando Chinnici gli affida le indagini per l’assassinio Basile, si era occupato solo di giustizia civile. E nell’ultimo giorno della sua vita Paolo si dichiara “ottimista”. Può ancora una volta sembrare pazzo, ma non è pazzo perché il suo ottimismo è rivolto alla fiducia che ripone, per il futuro della sua lotta, nei giovani. Quei giovani che tanto ama e ai quali dedica il suo ultimo pensiero.
di Claudio Caldarelli