ECO-MAFIA E BENE COMUNE

silvia“In nome del popolo inquinato” sarebbe il caso di parafrasare la famosa frase della costituzione italiana, dopo aver ascoltato gli interventi dei relatori durante il convegno “ECO-MAFIA E BENE COMUNE” organizzato dalla Pontificia Università Antonianum il 30 marzo. Alla giornata di studio, organizzata in collaborazione con il Dipartimento di Analisi, Studio e Monitoraggio dei Fenomeni Criminali e Mafiosi della Pontificia Accademia Mariana Internationalis hanno partecipato: il professor Calogero Caltagirone docente di Filosofia e Antropologia Sociale della LUMSA, il Procuratore della Repubblica Renato Nitti e il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani dandoci un valido contributo alla comprensione dei due termini chiave della giornata: ecomafia e bene comune.

Grazie all’intervento del professor Caltagirone docente di Filosofia Morale, abbiamo avuto avuto la possibilità di ripercorrere la storia dell’essere umano dal punto di vista di uno specialista dell’ Antropologia delle Relazioni Sociali, che ci ha ricordato come sin dai tempi di Aristotele, l’uomo veniva definito come “animale sociale”, ovvero come individuo che tende a vivere con altri uomini sulla base di principi comportamentali innati e che, grazie alle virtù che possiede, tende naturalmente al bene al quale tutti aspirano. Possiamo chiamare questo bene al quale tutti aspirano, bene comune? Ebbene non è così semplice ed ovvio come potrebbe sembrare, infatti, grazie ai dati emersi durante il convegno, ci si rende conto di quanta difficoltà si incontra, ripercorrendo la storia alla ricerca di prove reali, di questa disposizione dell’uomo che tenderebbe al bene, al giusto, al buono, assumendosi la piena responsabilità dei propri comportamenti e la pratica di quelle virtù congenite che lo porterebbero a custodire il proprio ethos, luogo dove ogni uomo prende forma grazie proprio alla relazione con gli altri, non devastandolo ed impoverendolo ma considerandolo in maniera virtuosa, trattando insomma l’ambiente come se fosse effettivamente la propria dimora.

Ci ha fornito una chiarissima e purtroppo facilmente constatabile, idea ancestrale di “scarica barile” nella concezione giudeo-cristiana di “uomo”, ovvero la sua predisposizione allo scarico di responsabilità, sin dal principio dei tempi: Adamo sei stato tu? No, me lo ha detto Eva di farlo. Eva, e tu? Non è assolutamente colpa mia, è stato il serpente a consigliarmelo, e via così fino ai nostri giorni…perché non fai la raccolta differenziata? E mica è colpa mia se non uso i cassonetti differenziati, è l’AMA che non è bene organizzata! I dati italiani sono pubblicati ogni anno da vari enti che ci mettono in condizione di sapere qual è l’entità dei danni che abbiamo provocato con il nostro comportamento scriteriato, il Sistema Nazionale Protezione dell’Ambiente, le varie agenzie regionali dell’ARPA collezionano i dati sul territorio che vedono la partecipazione di tanti ricercatori e anche di tante associazioni non governative che sono pubblicati anche sul sito del Catasto Rifiuti e che forniscono all’ISPRA (Ist. Sup Protezione e Ricerca Ambientale) i report che regolarmente annualmente vengono resi pubblici con i risultati delle ricerche effettuate in ogni comune della nostra penisola, stabilendo così gli indicatori che possono orientare i governi verso scelte più sane e sostenibili.

Durante il convegno, è stato illuminante l’intervento di Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente che ci ha mostrato, dati alla mano, quanta poca cura mettiamo alla custodia di questo giardino che ci è stato affidato e che chiaramente è il nostro pianeta, la terra. Ognuno di noi è responsabile, nel suo proprio micro-mondo, dei propri comportamenti e ognuno di noi, se non riesce a riconoscere quelle virtù che Aristolele considerava innate, almeno dovrebbe essere stato educato alla giustizia e alla legalità fin da piccolo, dovrebbe assumersi le conseguenze delle sue scelte di vita in base a come ha definito le sue le priorità etiche e sociali. Anche qui la colpa non è di nessun’altro ma solo nostra se non ne siamo a conoscenza, in realtà i dati sono pubblici e basta il dito indice per cliccare sui vari siti dedicati e leggerli.

Ecco quindi che siamo venuti a conoscere i preoccupanti dati sulle ecomafie emersi dalle ricerche di Legambiente, che tra l’altro è l’ente che ha coniato le due parole entrate a buon merito nel vocabolario della lingua italiana: ecomafia e ecomostri, termini che spesso sentiamo ma di cui forse non conosciamo a fondo il significato. È proprio grazie alle costanti lotte di Legambiente che, in collaborazione con l’Arma dei Carabinieri e la Magistratura, sono stati individuati i crimini contro l’ambiente, quelli che prima erano considerati reati minori ci ha spiegato il Procuratore Nitti nel suo intervento, e che oggi sono annoverati tra i delitti contro l’umanità, ovvero gli ecoreati: reato di disastro ambientale, di inquinamento ambientale, di omessa bonifica, di traffico e abbandono di materiale speciale e radioattivo, di traffico illecito di rifiuti. Grazie all’opera continua di persone che hanno sostenuto e portato avanti la giusta idea di Bene Comune, si è riusciti anche a istituire una Commissione Parlamentare d’inchiesta che si occupa specificatamente di questi reati e che annualmente pubblica i terribili risultati che invito tutti ad andare a leggere sulla illegalità ambientale e sui circa 371 clan e cosche (che sono stati censiti dal ’94 ad oggi )che gestiscono gli affari illegali legati all’ambiente: archeomafia, abusi edilizi tra i quali la costruzione degli ecomostri in territori tutelati come le coste marine, incendi dolosi di depositi di rifiuti, esportazione illecita di materiali speciali, agromafia con la sofisticazione di alimenti e con il caporalato e lo sfruttamento della manodopera nelle campagne, racket degli animali sia negli allevamenti che nei casi di sfruttamento e lotte clandestine, traffico clandestino di materiali nocivi alla salute come l’amianto e i suoi derivati, traffico di materiale sotto tutela dei beni ambientali e saccheggio del patrimonio culturale, roghi commissionati ad hoc su terreni boschivi con i suoi oltre 15.000 ettari andati in fumo.

Come non ringraziare queste persone che dedicano tutto il loro impegno alla lotta contro questo tipo di criminalità legata all’ambiente? Una criminalità estesa su tutto il territorio italiano che permette affari per un fatturato di oltre 3 miliardi di euro l’anno. Abbiamo quindi un po’ più chiaro il concetto di eco-mafia, ovvero di una vera e propria associazione a delinquere diffusa, che perpetra atteggiamenti di aggressione all’ambiente e che si arricchisce sui danni che questi comportamenti comportano. Cosa possiamo fare per combatterla? Intanto nel nostro piccolo evitare di assumere comportamenti eticamente sbagliati e soprattutto dare un contributo a livello politico per una corretta gestione della polis e della casa comune, uno fra tutti? Il rispetto della natura e della dignità di tutte le sue creature, esseri umani compresi.

di Silvia Amadio