La guerra dentro e il dolore del mondo
Mi sveglio la mattina presto e non ascolto più la radio, i notiziari, i Gr, le rassegne stampa, le varie rubriche d’informazione. Interrompo bruscamente, anzi, rado al suolo, letteralmente, una consuetudine che coltivo fin da ragazzo. Per dirla con Hegel, era la mia mattutina preghiera laica. Anch’io come la protagonista del romanzo di Jorge Amado Teresa Batista stanca di guerra, sono allo stremo dei bombardamenti via news, via etere, via social, via marciapiede, selciati e bar cittadini. Ovunque è in agguato il volto della persona amica, il cui affetto coltivi da immemori ere esistenziali, che improvvisamente si dilacera in quello di un irriducibile nemico. E il mio animo, la mia faccia, la mia voce – anche interiore – all’unisono si dilacerano con il suono delle sue, delle mie parole.
Proviamo a tracciare un’equivalenza tra i verbi ausiliari essere e avere. “Io ho un amico o amica speciale” si può anche dire “Un amico, un’amica speciale è con me, insieme a me, in me”. Questo significa che è dentro di te la guerra con quella persona amica/nemica. È in noi sulla trincea dell’interpretazione, dello schieramento, del modo migliore d’uscire dalla brutale guerra d’invasione russa, senza precipitare in un nuovo conflitto mondiale all’ombra del nucleare in fiore.
Il quotidiano bombardamento a tappeto dell’informazione, delle dichiarazioni, dei retroscena, delle contrapposte opinioni non fa che rinculare, rincalcare ognuno dietro la propria batteria d’artiglieria anticarro, antimissili, anti tweet, anti post, anti fake, anti troll. Bisognerebbe proporre una tregua, un cessate il fuoco tra vecchi amici/neo nemici. Non spariamoci più, restiamocene in silenzio per un po’. Sui social, ai tavoli di un bar, sulle panchine e sotto gli alberi di un parco cittadino o di un bosco tra i monti della provincia. Siccome il mondo, però, è solo volontà e rappresentazione, come scrive già circa un secolo e mezzo il filosofo Arthur Schopenhauer, saresti subito accusato di essere un imbelle, un vigliacco che si sottrae alle impellenti responsabilità individuali e collettive del grave momento storico. O pacifista o interventista: madamina, il catalogo è questo, tutto il resto è letale retorica.
C’è un rifugio, un sottoscala, un sotterraneo interiore dove mettere al riparo la propria anima, o pensiero, o slancio d’amore e gioia verso l’esistenza? Ma come?! Nell’istante stesso in cui tu digiti queste egoistiche, rivoltanti parole, c’è una reale, concreta umanità straziata sotto vere bombe, cannonate, missili, e senza più acqua, cibo, vestiario, e tu fuggi, cerchi rifugio nel sottosuolo, come un vero topo di fogna. Sempre più , però, sono gli umani che oggi – non solo in Ucraina – si trovano a condividere l’abituale condizione sotterranea dei muridi. Plinio il Vecchio, che di guerre se ne intendeva, non a caso scrive: “Mures incolae domum sunt, i topi sono abitanti delle case”. Tanto che a forza di stare là sotto potresti ormai sentirli squittire rassegnati i vecchi topi: “Homines co-incolae domum nostram sub terra sunt”.
Ma poi il dolore del mondo cos’è? Si può non ascoltare più, spegnere come il tasto off di una radio a transistor o web che sia? No, esso è, sta in noi. Ossia – ci ha, ci abita dentro. Habitàre, abitare, in latino deriva proprio da habère, nel senso di continuare ad avere, ad esempio la consuetudine con un luogo, una casa. Per questo io preferisco non farmi bombardare e bombardare a mia volta la comune casa del dolore del mondo che ho, abito, è: – insieme al mio migliore amico/nemico. Solo così posso preservare l’altrettanto comune luce di una gioia originaria dell’esistenza in sé, ossia di ogni singola esistenza che – anche se per lunghi tratti scompare o balugina incerta in noi – non smette mai di farsi percepire dalla nostra coscienza come dal nostro inconscio più profondo.
Forse proprio per questo, al termine del suo saggio sulle Affinità elettive, di Goethe, Walter Benjamin poteva scrivere “Solo per chi è senza speranza ci è data la speranza”. La speranza che ci è data, ossia che noi dobbiamo dare al mondo disperato sotto i bombardamenti della follia umana.
di Riccardo Tavani