1° Maggio: rimettiamo il lavoro al centro
L’episodio che ha ispirato la scelta di questa data per celebrare la Festa del lavoro, e dei lavoratori, avvenne negli Usa, a Chicago il 1° maggio del 1886. In quel giorno era stato indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti con il quale gli operai rivendicavano migliori e più umane condizioni di lavoro: a metà Ottocento non era raro che si lavorasse anche sedici ore al giorno con salari da fame, la “sicurezza” non era neppure contemplata e i morti sul lavoro erano la quotidianità.
La protesta andò avanti per tre giorni, e il 4 maggio culminò con un vero e proprio scontro tra i lavoratori in sciopero e la polizia di Chicago: undici persone persero la vita in quello che sarebbe passato alla storia come il “massacro di Haymarket”.
Tre anni dopo, il 20 luglio del 1889, a Parigi, durante il primo congresso della Seconda Internazionale, l’organizzazione creata dai partiti socialisti e laburisti europei, fu lanciata l’idea di una grande manifestazione per chiedere la riduzione della giornata lavorativa a otto ore. Nella scelta della data gli organizzatori tennero conto proprio degli episodi di Chicago del 1886 e si decise di celebrare il lavoro e i lavoratori il 1° Maggio.
L’iniziativa divenne un simbolo delle rivendicazioni operaie, dei lavoratori che in quegli anni lottavano per conquistare diritti e condizioni di lavoro migliori. Varcò i confini francesi e, nonostante la risposta repressiva di molti governi, la manifestazione del 1° Maggio del 1890, la prima manifestazione internazionale della storia, registrò un’altissima adesione.
Dal 1947 il 1° Maggio divenne ufficialmente festa nazionale italiana e attualmente il Primo Maggio è giorno di festa nazionale in molti Paesi: del mondo e dell’Europa :da Cuba alla Turchia, dal Brasile alla Cina e poi Russia, Messico e diversi Stati dell’Unione europea. Curiosamente non lo è negli Stati Uniti, il Paese da cui, in un certo senso, tutto cominciò. Negli Usa si celebra il labor day il primo lunedì di settembre.
Oltre un secolo è trascorso da quando la richiesta di lavorare otto ore (Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire: questo lo slogan che fin dal 1855 fu formulato in Australia) ha provocato i fatti sopradescritti. Un secolo durante il quale il 1° Maggio ha scandito le rivendicazioni dei lavoratori, i lutti, da quelli di Haymarket a Portella della Ginestra, le loro lotte volte al raggiungimento di condizioni di lavoro dignitose che rispettassero il diritto, no meglio, i diritti degli esseri umani che prestano la loro attività lavorativa: diritto alla salute, alla sicurezza, ad una giusta retribuzione, all’istruzione, che sta di nuovo diventando prerogativa delle classi abbienti, a periodi di “ferie”, alla pensione. Nel frattempo, in Italia, dopo la stagione delle grandi lotte e conquiste sindacali che hanno imposto il riconoscimento dei diritti, si sta verificando il percorso inverso: i contratti di lavoro sono di breve durata, i lavoratori sono sottopagati, senza garanzie (essere assunti firmando una lettera di dimissioni in bianco si chiama ricatto), le ferie un bel sogno, la pensione un miraggio; se ci si ammala non c’è copertura economica (per i padroni dell’economia ammalarsi è una colpa, non una sventura), per i licenziamenti non è più richiesta la “giusta causa”. Basta che il padrone paghi un massimo di 24 mensilità (vedere le modifiche all’articolo 18 introdotte dai governi Monti e Renzi) e fa quel che vuole. Le nuove generazioni o trovano un impiego statale oppure devono lavorare dodici o più ore al giorno (e non andare al bagno Amazon docet), fare più lavori per arrivare a guadagnare una cifra che permetta a stento di tirare avanti. Di diritti sindacali non si parla nemmeno più. Siamo giunti a un punto in cui i giovani debbono lottare e lavorare non per avere una vita dignitosa, ma per sopravvivere, fuori dalle famiglie di origine, e senza prospettive di un futuro migliore, anzi di un futuro. E intanto nell’anno 2021 sono state 555.236 le denunce di infortunio sul lavoro, 55.288 le patologie di origine professionale riscontrate, 1.221 i morti ufficiali sul lavoro (fonte INAIL).
Di quanti altri morti di lavoro, di malattie contratte per poter continuare a lavorare, a sopravvivere, in ambienti malsani o addirittura nocivi non si viene a conoscenza perché costretti a prestare la loro opera al “nero”?
Forse è giunto il momento che i sindacati italiani si riapproprino di questa giornata e la trasformino nuovamente in giornata di riflessione, di lotta e non solo di festa. Ben vengano le manifestazioni che rinforzano l’unità dei lavoratori, ma è necessario rimettere al centro dell’azione sindacale la dignità del lavoro, il suo valore etico e sociale.
Sono di estrema attualità, sono importanti e possono servire da bussola le parole che Papa Francesco pronunciò quattro anni fa davanti ai lavoratori dello stabilimento Ilva Cornigliano:
“Chi pensa di risolvere i problemi licenziando la sua gente non è un buon imprenditore, non deve confondersi con lo speculatore“.
Oppure: “Attorno al lavoro si edifica l’intero patto sociale: quando non si lavora, si lavora male, si lavora poco o si lavora troppo, è la democrazia ad entrare in crisi“.
E ancora: “L’obiettivo non è un reddito per tutti ma un lavoro per tutti. Senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti“
E poi anche e sopratutto le parole di Giuseppe Di Vittorio:
“I profitti si alzano sempre più e i salari stentano a salire, rimangono sempre in basso. Le conseguenze, allora, di questi colpi ricevuti dalla CGIL ad opera del grande capitalismo, delle scissioni, delle divisioni dei lavoratori quali sono state? Ecco: le due curve, la curva dei profitti che aumenta sempre di più, e la curva dei salari che rimane sempre in basso.“
“È giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? È giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? È giusto questo? Di questo dobbiamo parlare, perché questo è il compito del sindacato”.
Che il 1° Maggio sia perciò l’occasione per rimettere al centro dell’azione politica e sindacale il valore del lavoro come ciò che dà dignità all’esistenza umana e non il profitto, il valore dell’uomo e non il danaro.
di Corrado Venti