INPS: povertà e pensioni da fame

La bomba sociale è innescata. Povertà in aumento e pensioni da fame. I danni causati dalle politiche neoliberiste, iniziate negli anni Novanta, produco nuove povertà, a cui si aggiungono le povertà di sempre. Le donne pagano il prezzo più alto. Sono le più esposte, le meno tutelate, cioè pagano per gli errori politici e per le scelte degli uomini.

La relazione annuale del presidente dell’INPS Pasquale Tridico, presentata alla Camera alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mette in luce i guasti prodotti da politiche scellerate. La controrivoluzione neoliberale lascia in eredità una bomba sociale pronta ad esplodere. E, cosa grave, nessuno intende disinnescarla. Più di 4,3 milioni di lavoratori guadagnano meno, molto meno di 9 euro l’ora. Un lavoratore su tre guadagna meno di mille euro al mese. La maggioranza sono donne. Milioni di lavoratrici guadagnano meno di 780 euro al mese, cioè meno del “Reddito di Cittadinanza”.

La povertà. La povertà lavorativa, quella delle nuove schiavitù, quella del caporalato, quella dei ghetti e dei campi agricoli, aumenta ogni giorno e nessuno si pone il problema di come combatterla. Milioni di donne, sfruttate e violentate, sottopagate, alla mercè di imprenditori senza scrupoli, piegano la schiena, sotto il sole cocente, per pochi euro l’ora.

La media della povertà in Italia è più marcata che negli altri Stati Europei. I lavoratori poveri, negli ultimi anni sono raddoppiati, dice l’INPS, come sono peggiorate le condizioni dei pensionati. Pensionati alla fame, non arrivano al 15 del mese. Hanno ridotto i consumi che quasi non mangiano. Cercano tra i rifiuti dei mercati rionali, le verdure o la frutta marcia che può essere recuperata.

Il presidente dell’INPS dice anche che se tutti lavorassero, negli ultimi trenta anni, non è detto che arrivino ad una pensione superiore a 780 euro al mese, di poco superiore alla minima che è di 524 euro al mese. Questa è la realtà delle pensioni italiane, la maggior parte, dice Tridico, sono inferiori a mille euro al mese. Tra un paio di decenni ci saranno pensionati ancora più poveri. La simulazione è ottimistica. Per ora riguarda solo i nati tra il 1965 e il 1980. Per chi è nato tra il 1981 e il 2000 andrà peggio.

Chi è povero lavorativamente oggi sarà un povero pensionisticamente domani” ha detto il presidente dell’INPS. Le donne sono le più penalizzate. “Sono state le più penalizzate, ha aggiunto Tridico, perché hanno avuto un allungamento della vita lavorativa, per allinearla a quella degli uomini, e stanno andando in pensione più tardi di quanto si aspettassero al momento in cui sono entrate nel mercato del lavoro”. Non va dimenticato che tra il 2005 e il 2021, la povertà assoluta è triplicata, arrivando agli attuali 5,6 milioni di persone. I due fenomeni compongono la parte emersa di un iceberg che naviga sott’acqua. E presto emergerà, e non solo per il riscaldamento climatico. Ma per gli effetti del combinato disposto delle riforme neoliberali del mercato del lavoro e delle pensioni iniziate dalla metà degli anni Novanta, in Italia e non solo.

La causa della povertà e delle pensioni da fame va ricercata, quindi, nelle politiche economiche e nei tagli sociali operate dai governi che si sono succeduti negli ultimi trenta anni. E negli ultimi trenta anni, molti sono stati i governi guidati da leader di sinistra o centro-sinistra. Scelte, che, tutti sapevano dove avrebbero portato. Tutti sapevano che quelle scelte avrebbero aumentato la povertà è ridotto le pensioni alla fame.

Questa situazione ha allargato la forbice delle differenze di reddito all’interno del lavoro dipendente. La disuguaglianza sociale e pensionistica si nutre delle politiche di liberalizzazione del mercato, che toglie tutele e non versa contributi. Prospettiva difficile, mentre l’inflazione che non dipende da una crescita dei salari, è usata per mantenerli bassi. È in questa direzione che va la modesta prospettiva di rivalutazione prospettata in Italia. Dopo la repressione salariale, e in assenza di un significativo ciclo di lotte di classe, non saranno i bonus degli ultimi governi, compreso quello di Draghi, a cambiare la situazione. La controrivoluzione neoliberale lascia in eredità una bomba sociale. Nessuno intende disinnescarla.

di Claudio Caldarelli e Eligio Scatolini

Print Friendly, PDF & Email