L’anima del Folkstudio

La massima apertura verso l’interiorità soggettiva, libera dalle contaminazioni mediatiche dei talk televisivi (X Factor e simili) che propinano show seriali come musica. Ma non è musica. La musica è un’altra cosa. E, lo vediamo qui all’Asino che vola, locale di Roma, dove Luigi Grechi organizza una serata, seguita da tante altre, con i migliori cantanti/musicisti oggi presenti nel panorama italiano.

Una serata, questa di martedì 9 gennaio, dove avviene l’impensabile, cioè, il rovesciamento del paradigma musicale che rimette al centro del palco la fantasia e la creatività degli artisti in grado di fondere il loro sound con gli accadimenti reali della società contemporanea. L’energia sprigionata accompagnata dalla intensità compositiva, dei testi e delle musiche, elevano la capacità del “buon ascoltatore” che è in grado di percepire istintivamente la sincerità artistica delle folk singer e dei cantautori che si avvicendano sul palco.

Luigi Grechi riesce a rappresentare tutto questo con la musica vera, fatta di sentimento, empatia, emozione e tanta, tanta passione. La sala dell’Asino che vola è piena, non di pubblico addormentato dai talk televisivi, ma da buoni ascoltatori che amano la musica in tutte le sue forme, purché racconti una storia, sia essa d’amore o sociale. L’evoluzione naturale del Folkstudio non poteva che essere così. Ragazze e ragazzi giovani e meno giovani, età diverse, generazioni diverse, ma con lo stesso istintivo amore per la buona musica e per il modo come viene proposta. C’è molta attenzione in sala, quando Luigi Grechi sale sul palco per presentare, dopo gli open-mic, gli ospiti della serata, che poi ospiti non sono, ma protagonisti di un progetto più ampio a cui Luigi sta lavorando. Il Folkstudio del nuovo millennio, senza  nostalgia alcuna del passato, ma intesa come evoluzione etica e morale di quella esperienza del passato. Musica di qualità, cuore, emozione, istinto, solidarietà, fratellanza, pace, difesa del pianeta e tanto altro.

Il primo a salire sul palco è Alessio Castelli Marino, voce di Ostia, tiene a precisare, ma anche voce di Roma caput-mundi. La sua voce racconta storie di drammi vissuti, le sue canzoni ricordano i dimenticati, gli oppressi, gli sfortunati, vittime di sfruttamento e avidità umana. Alessio Castelli Marino canta “…ferite rimaste come macchie sulla cenere…”. Nella “Moje der funambolo” racconta di un muratore caduto da una impalcatura, e lo racconta coinvolgendo l’anima del pubblico dentro questo dramma sociale dei morti sul lavoro e della sofferenza di chi rimane: “Amore mio mentre dormi ti saluto con un bacio sulla fronte…”. Le note della armonica straziano il petto, aprono squarci di sofferenza, ma fanno anche sognare il pane ripieno di dolore e speranza. Nella canzone del marinaio c’è la ribellione agli ordini, la rivolta contro la prepotenza, c’è il neorealismo musicale che l’esperienza di Luigi Grechi è riuscito a sdoganare facendo salire sul palco del Folkstudio-Asino che vola, la forza romantica di un cantautore di Ostia che merita di essere ascoltato.

Poi, Luigi Grechi, sale di nuovo sul palco e si emoziona, ci emoziona, con voce tremolante, sentita, presenta Gaia Clarizia, folk singer. Una voce tanto cercata, una presenza non banale, ma intensa nella essenza di esprimere l’energia vitale delle sue canzoni. “Parole amare per te dormirei su un letto di rose…” Gaia abbraccia una chitarra rosso fuoco, come i suoi capelli ricci, in contrasto con la sua timidezza, mostra una sensibilità canora che è arte e empatia, in grado di fondersi con un pubblico attento e interessato ad una voce coinvolgente e senza fronzoli. Parole d’amore, introspezione per ricondurre la sua esperienza liberata da vincoli mediatici, per divenire la folk singer vicina a Joan Baez e Dylan. “Se il tempo non mi trattenesse a se…i giorni tuoi non hanno dolcezza…” ma Gaia con la sua voce e la sua musica trasmette la dolcezza artistica che supera qualsiasi barriera temporale, per condurla in uno spazio immenso dove c’è solo Gaia con le emozioni che trasmette.

Ultimo della serata presentato da Luigi Grechi è Daniele De Gregori, omonimo del più famoso fratello, bravissimo chitarrista-cantante, accompagnato da Lucio Pardi e Lorenzo De Angeli. Inizia il blues mediterraneo, superiore a quello d’oltre oceano. Le chitarre sono in sincronia perfetta, eppure, dice Daniele, è la prima volta che suoniamo insieme. Una trinità che si fonde nell’uno. Le vibrazioni attraversano la sala. Il pubblico le raccoglie. Applaude. Ascoltiamo la “perfezione intellettuale” della musica a corde. L’energia poetica penetra nei pori della pelle, una blues d’incastri perfettamente riuscito. La perfezione imperfetta che rende immortale il blues. Testi reali e onirici, accompagnati da sound incredibilmente evoluti. Daniele poi ci riporta nel sogno che vien da lontano, dalla strada, dalla periferia urbana, non è America e Mediterraneo. Il nostro sound mediterraneo. La canzone di Donatella, un inno contro la guerra, una emozione forte, intensa, “Case nere” un arpeggio vocale alla memoria. Una commozione artistica umilmente potente. Poi la canzone d’amore “Eleonora” per esistere sognando. Daniele De Gregori chiude con un testo sul cambiamento climatico, “La casa mangiata dal sale” con il mare che si riprende la sua terra.

Abbiamo sognato, applaudito, riscoperto la musica vera, fatta da gente vera, fuori da ogni clichè televisivo, grazie all’impegno di Luigi Grechi possiamo vivere un qualcosa che non è mai tramontato ed è dentro l’anima di ognuno di noi: il Folkstudio.

 

Claudio Caldarelli