L’eco di voci lontane

Quando nel 1947 è stata scritta e approvata dall’Assemblea costituente la Costituzione, la carta fondamentale del paese, giunse a compimento anche un lungo e travagliato processo durato circa 150 anni: la costruzione dello stato-nazione Italia.

Un percorso iniziato alla fine del XVIII secolo e che, nutrendosi degli ideali della Rivoluzione francese, passando per il periodo risorgimentale, per molte, troppe guerre, la non brillante monarchia Sabauda, un ventennio di feroce dittatura fascista e una eroica Resistenza alla stessa, portò alla definizione dell’attuale stato italiano.

La Costituzione non nasce improvvisamente dal nulla, ma affonda le sue radici nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e dei cittadini del 1789, nella costituzione della Repubblica romana del 1849, negli ideali democratici che hanno permeato la Resistenza.

Quale Paese avevano in mente i costituenti, eletti, per la prima volta nella nostra storia, a suffragio universale il 2 giugno del 1946?

Basta leggere il primo articolo: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”

Un Paese unitario,” indivisibile” (articolo 5) la cui “forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale” (articolo 139, l’ultimo), che assegna al lavoro una funzione sociale “che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (articolo 4) e consente “l’iniziativa economica privata…”, a patto che non sia “in contrasto con l’utilità sociale…” (articolo 41)

Un Paese basato sui valori comuni delle forze politiche, cattoliche, socialcomuniste, liberali e liberalsocialiste. Quelle forze che avevano combattuto la barbarie fascista e che trovarono un minimo comun denominatore, ben espresso nella nostra Carta fondamentale, nella tutela dei diritti dei cittadini italiani, anticipando per molti aspetti, la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino” adottata dall’ONU nel dicembre 1948.

Lungi dall’essere un punto di arrivo, ma seppure un traguardo intermedio e un punto di partenza, la Costituzione prevede anche la possibilità di revisione, ma con alcuni punti fermi, fondamenta sulle quali costruire, edificare il “bene comune”, e una cornice entro cui muoversi.

Oggi il governo è composto da una coalizione di estrema destra populista, come dimostra quanto avvenuto con la protesta dei trattori, o anche l’atteggiamento contradittorio sui limiti di velocità, prima decretati e successivamente avversati sull’onda e alla testa del malumore popolare. 

Le forze politiche che questa contraddittoria coalizione mette insieme sono: nazionalisti di orientamento fascista, che però sono per una Europa unita, ma con quale formula non è dato sapere; sovranisti secessionisti che tendono ad una polverizzazione del paese; liberisti che propugnano l’ideologia del profitto come fine, costi quel che costi. 

I provvedimenti del governo tendono alla demolizione dello stato-nazione.

La regionalizzazione di quello che era il sistema sanitario nazionale ne è un segnale.

Una conquista di civiltà, il diritto fondamentale alla salute gratuito per tutti (articolo 32), che poneva il sistema-paese all’avanguardia e il SSN ai vertici mondiali nel settore, viene cancellata con un colpo di spugna.

L’autonomia differenziata, di matrice leghista, reca in sé i germi del secessionismo, e non sembra che ne facciano mistero; così come l’autonomia impositiva. 

Quale fine vogliono raggiungere? Frammentare il paese, magari a livello macroregionale in base alla capacità produttiva? Non a caso le prime adesioni, anzi sostegno, a questo progetto, giungono da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, le regioni più ricche. Molto ci sarebbe da dire sul contributo del resto del paese, nel suo complesso, alla loro attuale ricchezza economica, non superfluo ricordare l’articolo 5: “l’Italia è una e indivisibile”.

La proposta, di matrice neofascista, sul premierato, che svuota di significato la figura del presidente della Repubblica e propone un premier che, in quanto votato dal popolo di fatto diventa inamovibile, ricorda tanto la non sfiduciabilità di Mussolini da altri che non fosse il re, colui che lo aveva investito, che nel caso presente non esiste.

La riforma della giustizia, proposta dalla componente neoliberista, tende ad imbrigliare la magistratura, privandola di fatto della sua capacità di essere un contrappeso degli altri poteri dello stato.

L’occupazione sistematica, clientelarfamilistica, dei centri di potere istituzionali, la tendenza alla centralizzazione del potere, ad attaccare e mettere a tacere la stampa e l’informazione critica, richiamano alla mente l’oscuro ventennio fascista. Come pure lo richiama la pubblicamente dichiarata ammirazione per il capo del fascismo ostentata dall’attuale seconda carica dello stato: il presidente del senato La Russa.

Dove vuole portare il Paese il governo presieduto da Giorgia Meloni? 

Cosa possiamo aspettarci da un governo che fa coesistere nazionalismo, secessionismo sovranista e liberisti senza altra regola che il profitto?

Distruggere lo stato repubblicano e democratico, smontare lo stato sociale che nella cornice costituzionale è stato costruito, sembrano essere tra gli obiettivi.

Certamente i percorsi intrapresi conducono fuori dalla Costituzione, e con essa sono in contraddizione, ragione sufficiente a contrastarne il cammino. 

In un paese democratico, come siamo e vogliamo restare, significa non permettere ad una minoranza con idee, atteggiamenti, linguaggio, comportamenti, tesi a minare la cornice costituzionale, di continuare a governare.

Per ottenere tale risultato una sola arma è possibile brandire: quella della partecipazione attiva alla vita democratica in ogni ambito o manifestazione, della conoscenza, dell’acquisizione degli strumenti di discernimento, dell’esercizio del diritto di voto, affinché possa essere una reale maggioranza consapevole ad esprimere un governo costituzionalmente coerente.

La sostanziale coerenza costituzionale, osservata dai governi repubblicani almeno fino all’ultimo decennio del 1900, ha consentito la costruzione di un paese che tendeva ad una più equa distribuzione della ricchezza e al rispetto dei diritti sanciti nella Costituzione, e dei doveri di cittadinanza ad essi sottesi.  Per questo dovremmo ricordarcene ogni giorno, e tenere in mente le parole di estrema attualità che Piero Calamandrei ha pronunciato in un discorso ai giovani del 26 gennaio 1955: “in questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane …Cavour…Mazzini…Cattaneo…Garibaldi…Beccaria… umili nomi, voci recenti…quanto sangue e quanto dolore…

Questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione andate nelle montagne dove caddero i Partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità andate lì o giovani col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione “.

Corrado Venti