Anime galleggianti nel soffio divino di Sardegna
Alice nella Città, la prestigiosa sezione indipendente della Festa del Cinema di Roma, esprime una sua prevalente tendenza verso la sensibilità del pubblico giovanile. La propone, però, alla visione di tutto il pubblico attraverso opere sempre altamente originali e di qualità. Tra le molte mostrate anche quest’anno ci soffermiamo su una, per il suo perspicuo carattere di sconfinamento tra i generi cinematografici. Si tratta di Anime galleggianti, di Maria Cristina Giménez Cavallo. È più di un documentario e più di un film messi insieme. È uno sprofondare alle radici ancestrali della civiltà europea, per mostrarne la vitalità febbrile, attiva, sempre attuale, sotto l’epidermide del presente, in scorrimento sotterraneo permanente verso il futuro. L’autrice e regista è italo-americana, con la madre, Jo Ann Cavallo, prof di letteratura latina che le ha trasmesso il morso non solo di tutti quei grandi poeti, in primis Ovidio e le sue Metamorfosi, ma anche dei miti e delle leggende arcaiche che ritroviamo in canti e rappresentazioni tradizionali in diverse regioni del Mediterraneo. E la madre è la sua ispiratrice, guida e produttrice in questa itinerante immersione nuragica.
Durante la collaborazione nel 2021 al film documentario Futura, di Francesco Munzi, Alice Rohrwacher e Pietro Marcello, Maria Cristina Giménez Cavallo s’imbatte all’improvviso nella Sardegna, quasi fosse davvero la mitologica Atlantide sprofondata negli abissi del suo mare di cui si narra. La folgorazione è immediata, e folgorante è l’opera che poi vi realizza. Anche se non immediato, anzi, è stato approdare al risultato finale. La Sardegna, infatti, è davvero un continente serrato in uno scrigno di luoghi, anfratti, lingue, canti, silenzi, che non si schiude facilmente, lasciando chi vorrebbe penetrarvi al solo rivestimento, come quello di superficie delle sue querce da sughero. Il fascino, però, è un fenomeno di reciprocità. Lo si esercita e lo si subisce. La terra sarda non poteva sfuggire al fascino di una proposta che svelava il tesoro misconosciuto del suo arcaismo eternamente presente, e dunque sempre in simbiosi tra passato e futuro. E con ‘terra’ si intendono inseparabilmente i suoi abitanti. Un patto di fiducia, d’amicizia tra terra e troupe ha sugellato il fascino reciproco e permesso di superare le pur aspre e continue difficolta.
Anche il film è uno scrigno cinematografico aureo che condensa in appena settanta minuti una materia poetica la cui tessitura è più lungo dipanare verbalmente che assorbirla visivamente, acusticamente, spiritualmente. Ne riassumiamo qui semplicemente le tappe le tappe principali del percorso narrativo, essendo impossibile restituirne – per quanto raffinatamente se ne possa qui sinteticamente scriverne – lo stupore delle situazioni e dei luoghi per lo più misconosciuti. Lo facciamo sulla scorta del dettagliatissimo e bel diario di viaggio e lavorazione firmato da una delle collaboratrici del film, Sara Gainnesi su ODG, del quale consigliamo vivamente la lettura integrale.
Pitagora, nel Giardino Sonoro delle sculture di Pinuccio Scola. Callisto, nei ruscelli, le pozze, le piscine d’acqua cristallina di Niala. Europa, il Castello di Laconi eletto dalla regista e allestito dalla troupe a sua corte. Le Parche, Arachne, la Filonzana, che tessono, smatassano, intrecciano passi e destini per rintracciare senso, speranza nell’insensatezza disperata della violenta follia dell’uomo nello stupro di femminilità e natura dal soffio divino. Violenza e follia da parte di chi si auto attribuisce il predominio della forza, della prepotenza, e ha così necessità di proclamarlo, confermarlo, esercitandolo contro chi è abusivamente è decretato vittima, ossia più debole, da sottomettere e annientare.
Come lo stupro brutale di Apollo contro Dafne, la quale diventa in Sardegna non semplice, anonimo albero, ma appunto quercia da sughero dalla corteccia insanguinata. O il rapimento di Proserpina-Persefone da parte di Plutone che la trascina nell’Ade, agli Inferi, per sposarla, farla sua prigioniera, fino alla parziale liberazione concessa dall’Olimpo per tornare sulla Terra in Primavera. Ade in cui finisce Euridice dopo il suo matrimonio con Orfeo. Inferi che sono nel film messi in scena, o meglio in abyme, in abisso giù nelle gole dei pipistrelli, nelle grotte di Su Marmuri a Ulassai. Ade dalle quale drammaticamente risale senza Euridice, per essere inseguito e catturato dalle Baccanti, tra le terre d’incanto e originaria culla della civiltà di Biru ‘E Concas.
Queste e altre suggestioni, suoni, danze, sensibilità e località sconosciute ci svela la visione di questo sorprendente film di Maria Cristina Giménez Cavallo. Tra attrici e attori: Anastasyia Bogach (Arachne), Juliette Jouan (Callisto), Andrea Flirst (Pitagora), Riccardo Bombagi (Apollo), Emiliana Gimelli (Lacchesi), Enrica Mura (Daphne), Benjamin Miyakawa (Orfeo), Valentina Picciau (Euridice), Ophélie Joh (Diana), Gerardo Ferrara (Bacco). Vanessa Podda (Clotho), Egidiana Carta (Demetra), Marco Mazza (Giove), Raphaelle Dupire (Europa). Sceneggiatura: Maria Cristina Giménez Cavallo, Jackson Giuricich Musica: Luca Nulchis. Suono: Claudiné Curreli e Roberto Cois. Scenografia: Francesca Angioni. Costumi: Noemi Trozza, Salvatore Aresu. Direttore della Fotografia: Nicholas Giuricich.
Riccardo Tavani