Festa Cinema di Roma, il primato ai documentari
I documentari sono stati per me la parte più bella e interessante della Festa del Cinema di Roma 2024. Non ho potuto vederli tutti, ma una ventina sì. Sono stati tutti sorprendenti, vitali, originali. Questo dovrebbe far piacere a ogni appassionato di cinema, ma anche a chi non ne ha visto neanche uno, perché non ama il genere. Ricordiamo che documentare le vicende e i protagonisti della realtà, di particolari e diverse realtà, senza ricorrere alla finzione narrativa è l’origine stessa del cinema. Che questa origine scorra ancora con tanta irruenza sotto la pelle del presente è una garanzia di futuro potente anche per il grande cinema di finzione, autoriale, di qualità. Anche perché in diverse di queste opere i confini dello stesso documentario sono superati. La Festa Cinema di Roma si è articolata in dieci sezioni principali, attorniate da altre iniziative, mostre, riproposizione di classici restaurati, incontri, master class. I documentari erano distribuiti in tutte le sezioni.
Qui solo alcuni titoli in ordine sparso: Jazzy, di Morrisa Maltz, Usa 2024, 86; Anime Galleggianti, di Maria Giménez Cavallo, Italia Usa 2024, 70’Under a blue Sun, di Daniel Mann, Francia Israele 2024, 96; Aspettando Re Lear, di Alessandro Preziosi, Italia 2024, 79’; Duse, the Greatest, di Sonia Bergamasco, Italia 2024, 93; 100 di questi anni, autori vari, Italia 2024, 90’; Come se non ci fosse un domani, di R. Cremona, M. Keffer, It 2024, 90’; Estado de silencio, di Santiago Mazza, Messico 2024, 79’; Maestro – Tommaso Maestrelli, F. Cordio, Alberto Manni, It 2024, 98’; Sabbath Queen, con Amichai Lau-Lavie, Usa 2024, 105’; Sugarcane, di J. B. NoiseCat, E. Cassie, Usa Canada 2024, 107’; Architecton, di Victor Kossavoski, Germania, Usa, Francia 2024, 98’; Ernst Cole: Lost and Found, di Raoul Peck, Francia Usa 2024, 106’; No more trouble – Cosa rimane di una tempesta, It 2024, 97’;; Lumière, le cinéma!, di Thierry Frémaux, Francia 2024, 105’; Franco Califano – Nun ve trattengo, di F. R. Massaro, F. Mondini, 67’. C’è da augurarsi che molti, se non tutti questi film trovino anche una distribuzione nelle normali sale cinematografiche, perché è un luogo che spetterebbe di diritto innanzitutto a loro.
Per il lato cinema di finzione il panorama è più variegato. Accanto a opere di elevata qualità, come i film premiati, c’è stata anche una proposta per i generi più richiesti dal grande pubblico, come innanzitutto la commedia. Segnaliamo solo due titoli per tutti: 100 Litres of Gold, di Teemu Nikki, e La Pie voleuse, di Robert Guédiguian. Il fatto, però, che il Premio del Pubblico sia andato a un’opera di indubbio valore per contenuto e forma cinematografica, ci dice che il grande pubblico, almeno in grandi festival, cerca e privilegia la qualità. È stato premiato, infatti, Leggere Lolita a Teheran, di Eran Riklis, con una davvero coinvolgente Golshifteh Farahani.
Il Premio della Giuria è andato meritatamente al film cinese Bound in Heaven, di Huo Xin. Ex aequo Ciao bambino, di Edgardo Pistone. Si tratta di un’opera che riprende e rielabora la situazione di Accattone, il primo film e capolavoro di Pier Paolo Pasolini. Ambientata a Napoli, il protagonista è un diciassettenne candido, che si innamora della giovane prostituta dell’Est che è costretto a sorvegliare, proteggere, per conto di un ricettatore del quartiere. Pur senza raggiungere intensità e profondità pasoliniana, il film si fa comunque apprezzare. Elio Germano si aggiudica il Premio Vittorio Gassman come Migliore Attore, per la sua interpretazione di Berlinguer. La grande ambizione. Mai premio fu più meritato, perché Germano, pur senza una grande somiglianza somatica con il leader comunista, riesce a restituircelo nella sua mimica, movimenti, sentimenti e ragioni politiche e ideali. Il film, però, si lascia forse sfuggire l’occasione dell’autentico non compromesso, ma dramma storico consumatosi nel rapporto tra Enrico Berlinguer e Aldo Moro. La loro fine quale tramonto anticipato ma inevitabile di un secolo, dell’epoca alta della politica e del suo avviarsi al basso impero del suo declino.
Riccardo Tavani