Nel tramonto della democrazia ritorna il Doge
La seconda salita al trono imperiale americano di Donald Trump fa gridare al tramonto definitivo della democrazia occidentale. Essa, infatti, è la più abbagliante delle corone auree poste sul capo di altri spavaldi leader dell’ascesa nel mondo delle cosiddette democrature, crasi tra democrazia e dittatura. La street-artist Laika ne ritrae solo cinque nella sua ultima opera, The Black Wave – L’onda sovranista, ma sono davvero molti di più in giro per il pianeta. La vittoria di Trump, poi, fa saltare anche un altro dei cardini connotativi della democrazia il checks and balances, la separazione e il bilanciamento tra i diversi poteri costituzionali. Avendo già nominato nella sua precedente presidenza la SCOTUS, Suprema Corte, degli Stati Uniti, ed essendosi aggiudicando ora anche Senato, Congresso, Grandi Elettori e voto popolare, The Donald dispone ora di un potere assoluto, secondo il titolo del quotidiano italiano Il Manifesto.
Ai tradizionali poteri costituzionali, si aggiunge, però, un punta di potere diamantifero rappresentata dalla potenza di Elon Musk che non è solo economica, ma soprattutto – tecno-scientifica. Il magnate americano ha donato 119 milioni di dollari per la campagna elettorale di Trump. Alla proclamazione della sua vittoria le sue azioni aziendali sono schizzate in Borsa, facendogli incassare in pochi minuti 13 miliardi di dollari, con un ritorno stellare dell’11.000%. Come si fosse alleggerito di un obolo di appena cento dollari e gliene fossero subito rientrati in tasca un milione e centomila. Poi dal suo protetto Donald si è fatto subito assegnare il Doge, Department Of Government Efficiency. Ossia, un altro regalo di miliardi di dollari. A parete la simbologia di per sé sovranista del nome, la sua criptomoneta Doge-coin, manco a dirlo, ha immediatamente incassato un fulminante rialzo del 20%.
È lui il vero vincitore di questa elezione è il suo straripante e inedito potere, il quale rappresenta certamente non tanto il declino definitivo della democrazia nel mondo, quanto la sua definitiva apparizione allo sguardo e alla coscienza del mondo. Elon Musk mette insieme finanzia e produzioni industriali tradizionali, come quella dell’automotive, con la sua Tesla, alle cripto valute, ai socia media con X (ex Twitter), alla comunicazione, connettività e controllo satellitare, all’Intelligenza Artificiale, e alle costruzioni aereo spaziali, con X Space. Tra i suoi progetti la conquista del pianeta Marte, con l’esplosione di una dozzina di bombe atomiche per modificarne l’atmosfera e renderla adatta alla colonizzazione umana. È tutto questo e altro ancora che mette piede, mano, connettività geostrategica dentro lo Studio Ovale della Casa Bianca.
Apice, però, di un processo già da tempo ampiamente sviluppato e messo in atto da altri potenti soggetti. Non si tratta più, infatti, del predominio della vecchie multinazionali del Big Oil, o del Big Tobacco, e altre. Oggi qualsiasi impresa finanziaria, economica, industriale, come anche quella militare, ha bisogno di connessioni, reti digitali, social di comunicazioni, realtà intellettivo-virtuale sempre più sofisticata. E chi detiene simile pervasiva potenza planetaria? Le Magnificent Seven, tutte imprese rigorosamente private e ad alto contenuto digitale e tecno-scientifico, ossia: Apple, Microsoft, Google, Amazon, Meta, Tesla, e Nvidia, azienda leader per la produzione di microchip per Intelligenza Artificiale. Quest’ultima, con Microsoft e Apple, detengono un capitale di 3000 miliardi di dollari, pari all’intero PIL della Francia. Google, da parte sua, nel solo terzo semestre del 2024 ha scolpito una quota aurea, non di fatturato complessivo, ma di puro profitto, utili puliti di 26,3 miliardi di dollari, pari a una legge di bilancio annuale italiana. Di quale democrazia vogliamo ancora parlare? Di fronte a tale immane gravitazione digito-finanziaria superiore al bilancio di interi Stati, e in grado di deformarne l’orbita geo-economica e strategica, con quali mezzi la politica, la democrazia possono ancora aspirare a un ruolo egemone? Se dalla faccia occidentale del pianeta ci volgiamo a quella orientale si mostra quale vera e propria totalità il dominio delle Big Tech. Prendendo le prime tre della sola Cina, Alibaba, Baidu, Tencent ci dobbiamo arrendere all’evidenza dell’intero pianeta ormai affasciato da una potenza che trasversalmente, oltre ogni confine geo-vintage-nazionale, influenza e anche determina, direttamente e indirettamente, il pensiero, le abitudini, l’economia, la vita di miliardi di persone. Di democrazia ormai non si può proprio più neanche parlarne, occorre pensare ad altro.
Una frase di Albert Einstein recita: “Non puoi usare una vecchia mappa per esplorare un mondo nuovo”. La pone Antonio Deruda in esergo al suo recente libro Geopolitica Digitale, Carocci Editore, dal quale abbiamo qui attinto alcuni dati. Il problema, però, come pure l’autore constata, è che non è semplice esplorare una nuova mappa che si auto modifica a ogni istante che si delinea, perché ogni nuovo sguardo fa emergere, insieme a nuove possibilità, anche la vie per attuarle tecnologicamente. In questa mappa mobile, inoltre, bisognerebbe comprendere anche la geopolitica della distruzione ambientale che sarà ancora più aggravata dalle cancellazione delle misure di salvaguardia annunciate già annunciate da Trump, a cominciare dal ritiro dai vertici Cop sulle mutazioni climatiche. Segando, il ramo su cui tutti siamo seduti e che ci alimenta verrebbe, infatti, a mancare la mappa stessa. Tranquilli, dopo il tramonto e pure il diluvio il Doge ci porta su Marte, la Nuova Venezia, futura capitale della galassia artisticamente scolpita dalle sue bombe atomiche.
Riccardo Tavani
Foto: Laika, Black Wave (Netanyahu, Orban, Meloni, Milei, Trump).