Polifema, accecamento di una donna, anzi di una civiltà
L’esordio narrativo della poetessa Gabriella Cinti ha un titolo omerico, ma singolarmente coniugato al femminile: Polifema. La protagonista del romanzo, però, non è né una ciclopessa, né abita quell’età dell’antica Grecia radice della civiltà europea e occidentale. Vive la contemporaneità di questa iniziale propaggine del terzo millennio, anche se qualcosa di mitologico lo reca già nel nome: Marzia. E anche il cognome, Volo, ha un’altra eco ellenica nel richiamo indiretto al poeta Pindaro. I richiami alla classicità greca e latina, in realtà, sono continui nella narrazione. Anzi, costituiscono una vera e propria dimostrazione della ricorrente attualità nel tempo dell’origine ellenica della nostra cultura. Ogni origine, infatti, non è mai ferma a un punto x della storia umana e universale. Essa continua a scorrere sotto la pelle di un eterno presente, quale improvvisa manifestazione epifanica dal sottosuolo che sostiene la civiltà. Questo lo sa bene Gabriella Cinti, voce ormai riconosciuta della poesia italiana contemporanea. Si deve sapere, però, che lei ha composto e cantato, ossia recitato con accompagnamento melodico e danzante, poesie direttamente in lingua greco-antico, ispirandosi soprattutto a Saffo. Ha scritto anche un saggio di fondamentale importanza storico-critica: Il canto di Saffo. Musicalità e pensiero nei lirici greci, nel 2010. Cinti è poi autrice di altri importanti saggi e di una produzione poetica costituita ormai da diverse sillogi.
Marzia Volo incontra e vertiginosamente, o abissalmente s’innamora – ricambiata – di Giorgio, un Odisseo della sua stessa città di provincia, Lucca. Come l’omerico Nessuno, che acceca Polifemo, anche Marzia Polifema, nel proprio grido d’accecamento, del suo Giorgio non svela il cognome, o il patronimico,. Giorgio Nessuno, Giorgio Tanti, Giorgio Troppi, Giorgio Tutti. Perché se un singolo Giorgio registrato all’anagrafe non può sperare di sedurre tutte le Polifeme del mondo, Giorgio Nessuno può lo stesso provare ad accecarle una per una. Dopo il breve intenso idillio d’amore che strappa i capelli, Giorgio, biascicando una sua imperscrutabile sragione, un suo disagio nebbioso, lascia Marzia e scompare. È certo che, come Ulisse, lui compie il suo nostos, il suo ritorno a Itaca, a Penelope. Non nel senso che fosse già sposato quando incontra e poi lascia Marzia, ma che in quanto Odisseo Nessuno, deve innanzitutto avere una sua casa-isola, una moglie-isola, da abbandonare per ogni delirio di conquista, ma cui poi, necessariamente, sempre tornare. Perché l’ebrezza da volontà di potenza e di conquista, sia essa militare, politica, artistica, intellettuale è sempre rischiosa, sospesa tra la vita e morte e dispensatrice di ferite fisiche e lacerazioni interiori. Questo proprio perché è innanzitutto – erotica. Non c’è Nausicaa, Calipso, Circe, amore olimpico, divino che possa strapparlo alla sua terra isolata. Ossia, alla sua weltanschauung, visione del mondo isolata e isolante. Ed è il topos, ma anche il logos, il discorso che inesorabilmente s’instaura, quando il loro destino torna a intessersi, quasi lo avessero voluto le Parche. Nella palude Stigia sita tra lo sparire e il riapparire di Giorgio, Marzia subisce però anche l’affronto d’un abuso, d’uno anonimo stupro notturno, che la scaraventa nella sensazione tragica – proprio classicamente intesa – di aver pagato la colpa, la maledizione di essersi fatta abbandonare dall’amore del suo Odisse lucchese.
L’arco narrativo di Gabriella Cinti si tende, s’innesca e scocca dardi con la stessa precisione di Ulisse contro i Proci. Ma se lì c’era l’inesorabile algebra della giustizia, in Polifema, all’opposto, c’è l’ineffabile geometria poetica d’uno squarcio doppiamente esistenziale. Il primo squarcia il corpo d’estasi e dolore, la mente d’angoscia e gloria. Nel secondo lo squarcio è un’apertura violenta della coscienza alla visione della morte, intesa come annichilimento che hegelianamente l’eros dell’amato decreta isolando, non riconoscendo, confinando l’amante nella sua solitudine implacabilmente ricorrente. In questo senso, Marzia è non solo Polifema, ma anche Prometea, condannata a una rupe di sofferenza ai confini dell’apparire, e poi sprofondata non tanto nelle tenebre del Tartaro, quanto direttamente in quelle di un Thanatos civilmente luttuoso. E questo solo per voluto donare il fuoco dell’amore a un uomo Tutti.
Pagina dopo pagina, non si può fare a meno di domandarsi febbrilmente quanto di comune vissuto personale ci sia tra Gabriella Cinti e Marzia Volo. La verità più amaramente superiore, però, è che un ammasso stellare di donne in questo mondo può dire: “Marzia c’est moi”. In sembianze, aspetti, condizioni, variazioni, e perfino in possibilità sempre giacenti sotto il piano della realtà e pronte a realizzarsi: “Marzia c’est moi”. Ed esattamente come lo dice Flaubert di sé per Madame Bovary, così dovrebbe affermarlo ogni uomo dopo aver letto questo romanzo. Ossia, non solo e non tanto “Giorgio c’est moi”, perché questo è già di per sé evidente, quanto proprio “Marzia c’est moi”. Una lettura quella delle pagine di Gabriella Cinti che non può fare a meno, infatti, di condurre a una spietata onestà, redde rationem, autoconfessione, patriarcale faccia a faccia con sé stessi e la propria folle potenza di auto accecamento. Eleggere fuori da ogni legge – umana e universale – una vittima da sottomettere, schiacciare, per poi validare questo arbitrio, proclamando la propria dominanza attraverso l’esercizio quotidiano dell’uso e dell’abuso dell’amore fino alle radici dell’essere, dell’esistere in quanto tale. Come e oltre quello subito fisicamente e raccontato dalla protagonista nella parte iniziale del libro. Se un uomo davanti allo specchio che questa vicenda gli mette davanti in modo disarmato e disarmante, scrivesse la sua versione del suo ricomporsi in Marzia e con Marzia, forse la civiltà si sarebbe con giustizia tolta dagli occhi il vero velo della propria cecità.
Venerdì 6 dicembre, alle ore 16, a Più libri più liberi, Viale Asia 25, Roma, nella Sala Marte presento il libro con l’autrice Gabriella Cinti e la poetessa Marina Petrillo.
Riccardo Tavani