Nel Giorno della memoria, 27 gennaio, ricordiamo la forza delle donne nell’opporsi al male della Shoah

Sono donne, le “Antigoni del Vangelo”, che nel corso del ‘900 e in questo secolo sono state capaci di esprimere una forza d’animo e una resistenza morale in grado di opporsi a violenze, discriminazioni e dittature, esprimendo una forza d’animo e una resistenza morale in grado di contrastare la malvagità imperante della follia umana.

Non tutte solo grazie alla loro fede cristiana. Alcune certamente sì: da Sophie Scholl, che con il fratello Hans creò il movimento Rosa Bianca nella Germania nazista pagando con la vita la sua opposizione, a Dorothy Stang, che ha combattuto contro l’oppressione dei più poveri in Brasile, è stata assassinata nel 2005 e celebrata da Papa Francesco nel Sinodo sull’Amazzonia.

Altre eroine hanno lottato in nome dei diritti umani, della libertà e della giustizia, nomi che andrebbero e vanno ricordati perché non se ne “perda la memoria”, come Milena Jesenska, Margarete Buber-Neumann, Nadejda Mandelstam, Stefania Shabatura e la giustamente celebrata Etty Hillesum. Ma tutte a buon diritto fanno parte del volume Les Antigones de l’Evangile di Denis Lensel, pubblicato oltralpe dalle edizioni Artège con la prefazione di Anne-Marie Pelletier. La quale subito precisa come l’amica di Kafka, la nuora di Buber e la vedova di Mandelstam «non si sono mai formalmente dichiarate cristiane, ma le loro biografie lasciano affiorare una prossimità incontestabile».

L’autore, che è giornalista e saggista, dedica un capitolo della sua ricerca a Margarete Buber-Neumann e Milena Jesenska, sulla cui vicenda è bene soffermarsi. Entrambe vennero deportate nel campo nazista di Ravensbrück, ove si conobbero e divennero amiche progettando di scrivere insieme un libro sui totalitarismi gemelli intitolato L’età dei campi di concentramento, che doveva raccontare i parallelismi fra nazismo e comunismo. Cosa che non accadrà perché Milena non riuscì a sopravvivere agli stenti imposti dai carnefici di Hitler. Tutt’e due corsero enormi rischi per salvare innocenti destinati alla morte.

La vicenda di Margarete è paradossale: arriva al campo di Ravensbrück nel 1940 dopo aver subito le angherie dei gulag sovietici. Detenuta in Kazakistan, era quasi morta di fame. Come accennato, era stata prima nuora del filosofo ebreo Martin Buber, poi vedova di Heinz Neumann, ex dirigente dell’Internazionale comunista arrestato a Mosca per ordine di Stalin durante il Grande Terrore del 1937. Fermata a sua volta, fu condannata a cinque anni di campo di lavoro e deportata nel campo di concentramento di Karaganda. Commenta Lensel raccontando la sua vicenda: «I detenuti vivono lì, tra i rifiuti… Le donne trasportano sacchi che pesano fino a un quintale… Il rifiuto di lavorare è punibile con la morte. Ci sono molti informatori: “Qui non possiamo fidarci nemmeno dei muri”, dice un compagno di prigionia.

Margarete si ammalò, tossì sangue e si riprese solo con difficoltà.

Vive però momenti di grazia. Nell’agosto del 1939, in seguito al famigerato patto Molotov-Ribbentrop, Hitler e Stalin si scambiano i prigionieri politici e Margarete viene consegnata alla Gestapo per essere deportata a Ravensbrück. Qui ha luogo l’incontro sorprendente con Milena. «Un essere libero tra gli umiliati», così la descriverà. Intellettuale anticonformista ed esuberante, era nota per essere stata traduttrice e intima di Franz Kafka. A Praga, dopo l’invasione nazista del 1938, fece parte della Resistenza nascondendo e aiutando a fuggire all’estero ebrei e ufficiali. Ma un anno dopo venne arrestata e anch’essa finì a Ravensbrück. «Fu lei la prima – rileva Lensel – a progettare un libro sulla somiglianza dei due sistemi totalitari, con le loro imprese parallele di riduzione in schiavitù di milioni di esseri umani». Quel libro sarà scritto da Margarete nel dopoguerra.

A Ravensbrück le due amiche riescono con impudenza e coraggio a salvare vite umane: Margarete come segretaria-interprete del supervisore capo delle Ss Johanna Langefeld, Milena come impiegata nell’infermeria del campo. Riescono a impedire che diversi bambini finiscano nelle grinfie dei medici che fanno gli esperimenti eugenetici.

Ravensbrück era il lager delle donne, inizialmente non troppo severo, poi sempre più terribile sino a diventare anch’esso un campo di sterminio.

Il campo di Ravensbrück fu aperto il 15 maggio 1939.

Vi furono subito rinchiuse oltre 2.000 donne tra austriache e tedesche, provenienti dal primo campo di concentramento femminile di Lichtenburg, una fortezza del XVI secolo riadattata a prigione. Le prime deportate ad esservi internate erano comuniste, socialdemocratiche, testimoni di Geova, antinaziste in genere, così come  “ariane”, accusate del grave reato di aver violato le Leggi di Norimberga sulla “purezza razziale”, avendo avuto rapporti sessuali con una “razza” sub-umana, inferiore a quella tedesca.

Sembra di scrivere un libro di fantascienza, se non fosse che quell’orrore, quella barbara follia, quello stato di alienazione, le torture, i campi di sterminio, gli esperimenti sulle persone più debilitate sono pagine di storia che tutti abbiamo il diritto e l’obbligo di ricordare.

L’annientamento degli ebrei nei centri di sterminio non trova nella storia altri esempi a cui possa essere paragonato, per le sue dimensioni e per le caratteristiche organizzative e tecniche dispiegate dalla macchina di distruzione nazista.

Nulla va dimenticato e ai pochi sopravvissuti si chiede ancora e ancora di raccontare con testimonianze, ciò che hanno subito affinché oggi e un domani, si possa riflettere.

Dovevano essere pagine studiate, eravamo convinti che nulla avrebbe mai neanche lontanamente riportato a questa necessità di “differenziazione” del genere umano, di diversità, di allontanamento dei più deboli, dei più sofferenti, il ritorno di termini come deportazione, privazione dei diritti civili e politici di più individui e il trasferimento coatto e forzato verso luoghi di detenzione diversi dalla propria patria o il rimpatrio verso terre da cui si fugge per le guerre, le dittature, i regimi.

Mai potevamo immaginare tutto questo eppure sia pure in modo diverso, difficile scorgere differenze significative.

Stefania Lastoria