Eppure solo un nuovo film ormai ci può salvare

Il cinema al centro della polemica politica. Di qua e di là dell’Atlantico. Il nostro Ministro della Cultura Giuli e il Presidente Usa Trump se la prendono direttamente con attrici e attori. E loro rispondono. Da noi Geppi Cucciari ed Elio Germano, di là Bob De Niro. L’attore americano lo ha fatto ieri dal prestigioso palco del Festival di Cannes, sul quale ha ricevuto il premio alla carriera. “L’arte – dice De Niro – cerca la verità. L’arte abbraccia la diversità. Ecco perché l’arte è una minaccia per autocrati e fascisti”. Non solo, ma il regista Andrea Segre, proprio sull’onda della polemica Giuli-Cucciari-Germano ha redatto una lettera pubblica – indirizzata proprio al Ministro e ai suoi sottosegretari – che a solo due giorni ha raccolto centinaia di firme tra i nomi più noti e meno noti del cinema italiano. Lettera aperta che pubblichiamo a parte e che può firmare chiunque, andando all’indirizzo mail indicato.

Dopo Elio Germano e Geppi Cucciari, in due momenti e in due modi diversi, hanno criticato Giuli, il ministro ha sintetizzato in una battuta la sua risposta: “Avevano intellettuali e li hanno persi, si sono poi affidati agli influencer, ora gli sono rimasti i comici e basta”. Hanno replicato a loro volta anche Cucciari e Germano, e a essi si è aggiunto Massimo Cacciari con un’intervista alla Stampa. Il filosofo ha argomentato che un intellettuale può solo incidentalmente, secondariamente essere di destra o di sinistra, perché il suo dovere principale è stabilire e dire come stanno effettivamente le cose. A noi sembra, però – e ne avevamo qui già critto – che una forte crisi della figura dell’intellettuale ci sia stata e continui a permanere. Essa è legata alla crisi stessa della democrazia, discendente dalla crisi della politica in tutto il mondo. È l’inesorabile conseguenza dell’ascesa in atto, ma non ancora del tutto compiuta, dell’era tecno-scentifica. Proprio a questa si riferisce l’espressione Ormai solo un dio può salvare.  Essa è tratta da un’altra più celebre intervista, rilasciata nel 1976 da un altro filosofo, Martin Heidegger, a un altro giornale, il tedesco Der Spiegel, Lo specchio. Filosofia, poesia, religioni, arti, politica, non hanno più alcun potere di orientamento di fronte al nascente dominio dell’Apparato Tecnico mondiale. Per questo non ci resterebbe che un dio. Solo che esso stesso è “nel suo tramonto, e noi andiamo a fondo davanti a un Dio assente”. Morte di dio, d’altronde che già Nietzsche e poi Hegel avevano già decretato. Solo che questi la sancivano di fronte non alla tecnica, ma alla filosofia. Per Heidegger, invece, a tramontare è anche la filosofia.

Un altro filosofo Giorgio Agamben, tra i rarissimi italiani a partecipare a uno degli esclusivi seminari privati nella casa di Heidegger nella Foresta Nera, fa notare che a tramontare, però, è un dio cui l’Occidente ha sempre attribuito un qualche nome, una qualche identificazione. Rimane permanentemente intatta l’aurora – in ogni aspetto della natura, della realtà – del divino. Un altro grande filosofo del Seicento, Baruch Spinoza dice: Deus sive Natura, letteralmente Dio ossia la Natura. Pier Paolo Pasolini, in una lunga scena nel prologo del suo film del 1969 Medea, mostra proprio questo: il divino è intrinseco anche al più fragile apparirci d’ogni singola cosa. All’origine della tragedia di Medea e dell’intera civiltà è così il tramontare dello sguardo umano di Giasone sul divinamente poetico. È il tramonto stesso che viene fatto scendere sull’essere, in quanto eterno, secondo la lezione di Emanuele Severino, altre  grande maestro del pensiero filosofico, scomparso nel 2020.

Presidenti, ministri e sottosegretari, sulla scorta della loro presunzione di politici, superiori dunque ai comici, ossia attrici e attori, non si rendono conto di essere invece loro, esattamente in quanto neo-autoritari,  mere sopravvivenze ectoplasmatiche, fantasmatiche di un passato irreversibilmente al tramonto. Mentre, parafrasando Heidegger, dobbiamo affermare che ormai solo un nuovo film ci può salvare. Ossia l’attingere a un’intuizione sensibile, e in questo senso artistica, che giace intatta nella nostra più abissale percezione, in quanto autentica radice comune, base e sostegno della razionalità, della cultura, del sapere. Così che solo la visione, l’immaginazione, il mettere in immagini, propria di un grande film d’arte, può svelarsi quale porsi in cammino verso il battito di ciak e la scena di una inedita civiltà.

Riccardo Tavani

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