Il Maestro e Margherita
Portare sullo schermo cinematografico un capolavoro della letteratura mondiale ha sempre costituito un’impresa ad alto rischio e per questo spesso fallimentare. La bellezza artistica della scrittura quale principale veicolo di pensieri e sentimenti profondi non trova una traducibilità immediata nel linguaggio del cinema. Quest’ultimo, infatti, non fa tanto perno sulle parole, per di più solo pronunciate, quanto sulla intrinseca e autonoma forza delle immagini, le quali sono i veri concetti, pensieri, sentimenti della sua rappresentazione. Ciò significa che il cinema non può che tradire, traslare su un suo piano del tutto specifico ogni piccolo o grande racconto letterario. Solo che del piccolo magari pochi sanno e hanno scritto; del grande c’è una messe infinita di lettori, spesso amanti entusiasti, e saggi critici, non di rado a loro volta di alto valore letterario e concettuale.
Il Maestro e Margherita, il romanzo di Michail Bulgakov, scritto tra il 1928 e il 1940, in piena epoca di repressione politica e artistica nell’ex Unione Sovietica, è stato da sempre uno dei più tentatori, ma al contempo più ostici progetti da affrontare per il cinema. Ne esistono due trasposizioni precedenti, una con Ugo Tognazzi nel Maestro e Mismy Farmer in Margherita, ma entrambe di non epica rilevanza. Diversi altri grandi registi, tra i quali anche Federico Fellini, sono stati febbrilmente affascinati dall’impresa, ma hanno poi desistito.
E questa nuova versione del regista russo-americano Michael Lockshin? A nostro giudizio pienamente riuscita. Sì, lunga due ore e mezza, a tratti ridondante, eccessiva, ma davvero con tanto cinema di alta qualità artistica. Con questo prevediamo anche che a una parte del pubblico possa non piacere, o che non vada proprio a vederlo, ma dal punto di vista critico-cinematografico non può essere per noi negato il suo valore. Lockshin, infatti, trova il corrispettivo artistico di un’opera letteraria che è insieme realistica e di fantasia, proprio nelle flusso rutilante d’immagini da realismo socialista, e insieme potentemente immaginifiche, come neanche lo stesso Bulgakov sarebbe forse riuscito a raffigurarsele.
Come è noto si tratta della storia, a sfondo autobiografico, di uno scrittore pesantemente osteggiato dalla critica ufficiale, poi espulso dal Sindacato degli Scrittori Sovietici e privato d’ogni identità intellettuale e mezzo di sostentamento. Non gli resta che chiudersi in casa per tentare di scrivere un libro che rappresenterà il suo riscatto artistico davanti a tutto il mondo. A sostenerlo nell’impresa intervengono due inaspettati, prodigiosi sostegni. Il primo è rappresentato da Margherita, un’affascinante e benestante donna sposata, che s’innamora di lui e dell’opera che sta faticosamente scrivendo nella miseria e nella solitudine. Il secondo, uno stano professore che si dice tedesco, ma che parla ogni lingua, e che si presenta come Voland. Questo nome è tratto direttamente da Goethe e rappresenta nient’altro che il Diavolo. Un diavolo, però, che si comporta come un Angelo vendicatore, sterminatore. È questo il lato immaginifico del romanzo di Bulgakov che lascia mano libera al regista Lockshin di galoppare a briglia sciolta nella più vertiginosa corsa alla produzione di immagini a mezzo arte, riconducendo a quest’ultima i più attuali mezzi tecnologici a disposizione anche del cinema. L’arte, infatti, non può sottrarre la propria rappresentazione dai mezzi anche tecnici in vigore, di volta in volta, nella propria epoca. E questo vale soprattutto per il cinema e tutta l’espressione audiovisiva.
In un’altra cosa questo film di Lockshin è talmente intimo al romanzo di Bulgakov, da essere lui stesso quasi un’incarnazione del diavolo vendicatore Voland. Il regista, infatti, è riuscito a ottenere un ingente finanziamento dal Ministero della Cultura russo, aggirando, anzi beffando clamorosamente la censura, dato che il suo film contiene una pesante critica non solo e non tanto al regime stalinista di allora, ma soprattutto a quello putiniano di oggi. Film che ha ottenuto anche un grande successo in Russia, con diversi premi e più di cinque milioni di spettatori a oggi, tanto da disinnescare la successiva macchina della censura e della denigrazione che è scattata successivamente alla sua uscita. Con August Diehl, Voland; Yuliya Snigir, Margherita; Evgeniy Tsyganov, il Maestro. Ottimo. Durata 157 minuti.
Riccardo Tavani