Calogero Zucchetto: un’indagine interrotta a ventisette anni
Calogero Zucchetto, per tutti Lillo, nasce in una Palermo, una città fatta di vicoli e contraddizioni. Lillo entra in polizia a diciannove anni e sceglie il volto della strada, sceglie il pericolo e lo trova nelle scorte. Ma non gli basta, passa alla Squadra Mobile dove trova Ninni Cassarà, dirigente della Squadra mobile di Palermo conosciuto come uno dei migliori investigatori della Polizia del capoluogo siciliano e lì impara a seguire una pista fino alla fine, come un mastino che ha addentato una preda.
Lillo studia il territorio e va alle fonti. Parla con chi vive la città ogni giorno, parla con venditori, con i baristi, con gli addetti alle corse, parla con tutti perché è uno che scava e sa che far parlare c’è sempre qualcuno che imprudentemente si lascia scappare qualcosa, quel qualcosa che per lui è un tassello nel puzzle nelle sue indagini.
Usa il suo motorino per muoversi, da meno nell’occhio. Cerca latitanti, ascolta, annota e mentre lo fa firma rapporti importanti, tra cui il documento noto come Greco Michele plus 161, un elenco di famiglie e legami utili agli inquirenti.
A novembre 1982, la sua attenzione si concentra su una villetta in provincia, è la roccaforte di un latitante, Salvatore Montalto. Lillo riconosce segni e movimenti, annota tutto, servono le informazioni per un blitz, e il 7 novembre avviene, anche Lillo partecipa. Il latitante viene preso. Ma l’azione scatena la rappresaglia.
Il 14 novembre 1982, in via Notarbartolo, Lillo esce da un bar con un panino. Sale sul suo motorino. Non se ne accorge ma due uomini su una moto lo affiancano e lo freddano con cinque colpi alla testa… bang… bang… bang… bang… bang.
Lillo muore a ventisette anni, i killer di cosa nostra hanno eseguito l’ordine dato dalla cupola, la mafia lo uccide per un motivo semplice, lui ha colpito l’organizzazione dove fa più male, nelle sue reti di complicità e protezione, con le sue indagini ha rotto equilibri consolidati e le sue informazioni hanno portato a catture pesanti. Per la mafia, la risposta doveva essere pubblica, in una strada affollata di modo che tutti potessero vedere.
14 novembre 1982, età 27 anni, cinque colpi. Questi dati servono a raccontare una scelta. Una scelta fatta in nome dell’ordine pubblico. Una scelta che non trova ritorno.
La reazione delle istituzioni arriva sotto forma di processi e condanne. Il maxi processo raccoglie molte carte utili alle inchieste. Molti boss finiscono alla sbarra. Lillo riceve la medaglia alla memoria e la sua figura entra nel percorso delle commemorazioni pubbliche. Ogni anno, persone e autorità ricordano il luogo dell’agguato dove un albero è stato piantato vicino al punto dell’omicidio, come simbolo e memoria.
Il ricordo di Lillo impone un comportamento preciso, seguire i fatti, valutare i documenti, i verbali, gli atti giudiziari, ma soprattutto ascoltare, come faceva lui, quelli che lavorano ogni giorno contro le mafie.
La storia di Zucchetto resta utile per comprendere un’epoca di violenza, di scontri interni alla mafia, di rapporti insidiosi tra mondo criminale e territori. Resta utile per ricordare il prezzo pagato da chi lavora nelle forze dell’ordine. Resta utile per misurare la distanza tra un atto investigativo e la risposta della criminalità organizzata.
Se un giorno passerai per via Notarbartolo, guarda il punto dell’agguato con occhi attenti e pensa a Lillo come a un esempio di lavoro concreto e rischioso w ricorda i nomi degli arrestati e dei condannati anche grazie a lui. La memoria vive se la si tratta come materia concreta.
di Eligio Scatolini e Giuliana Sforza

