Il mare nero dei contratti 

Li chiamano contratti pirata e solo il nome fa venire in mente gli arrembaggi alle navi di antica e anche di moderna memoria al fine di depredarle dei beni trasportati.

Solo che qui non ci sono galeoni, né preziosi, né scrigni d’oro, ma ci sono scrivanie, timbri, firme e dietro quelle firme, spesso, qualcuno che sorride.

Funziona così, da a una parte ci sono i contratti collettivi firmati dai sindacati più rappresentativi, quelli che hanno una storia, delle sedi, delle persone che ogni giorno vanno a discutere nei tavoli veri. Dall’altra, i contratti pirata.

Carta su carta, sigle che nessuno conosce, sindacati fantasma che appaiono solo per il tempo di una firma, e quando spariscono, lasciano dietro di sé lavoratori che prendono meno, lavorano di più e contano poco o niente.

In certe realtà di lavoro, il contratto pirata arriva silenzioso. Nessuno lo annuncia, non c’è una riunione, non si discute. Un giorno il responsabile chiama, mostra un foglio, dice che si deve firmare per “aggiornare le condizioni”.

Aggiornare, sì, solo che dopo quell’aggiornamento le ferie diventano più corte, gli straordinari si pagano meno e il turno di notte non è più un diritto, ma una necessità.

A volte chi firma non lo sa. Non immagina che dietro quella parola innocente  “rinnovo” si nasconde un trucco. Altre volte lo sa, ma non può fare altrimenti. Perché se non firmi, perdi tutto e allora firmi, anche se senti e pensi che qualcosa non torna.

Ci sono settori dove questi contratti proliferano come la gramigna, come nella logistica, nelle pulizie, nella vigilanza privata e proprio quì, tra appalti e subappalti, tra cooperative nate ieri e sparite domani, che il contratto pirata è la regola non scritta. Una scorciatoia che fa comodo a chi deve tagliare i costi e vincere le gare al ribasso.

Ma non è solo una questione di soldi è una questione di dignità. Perché un contratto non è solo un elenco di ore e retribuzioni, è una promessa di giustizia, un patto tra chi lavora e chi fa lavorare e quando quella promessa viene tradita, si spezza qualcosa che va oltre il portafoglio, si rompe la fiducia, quella cosa invisibile che tiene insieme un Paese.

C’è chi prova a reagire e qualche giudice dichiara nulli i contratti firmati da sigle inesistenti. C’è qualche sindacalista che gira con la macchina scassata tra i magazzini e le fabbriche, portando fotocopie di veri contratti collettivi e poi ci sono loro, i lavoratori che, piano piano, cominciano a capire, a chiedere, a dire “no”.

Ma intanto, nelle zone d’ombra dell’economia, i contratti pirata continuano a navigare. Invisibili e silenziosi, si muovono tra le pieghe della burocrazia, approfittando della stanchezza, della paura, dell’indifferenza.

E allora capita che una persona torni a casa la sera, stanca, con le mani ancora sporche di lavoro, e si chieda perché la sua fatica valga meno di quella di un altro. Non trova la risposta, ma la sente addosso è una sensazione sottile, come la brezza marina in un mare nero, dove le navi dei pirata non hanno vele, ma timbri. Ma finché qualcuno non accenderà una luce su quel mare, loro continueranno a solcarlo, in silenzio, perché i pirati, oggi, non portano la benda sull’occhio ma portano la cravatta.

di Eligio Scatolini

 

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