L’impero industriale di Dracula colpisce ancora

Titolo originale è Dracula: A Love Tale, ossia ‘Un racconto d’amore’, del regista francese Luc Besson In Italia, invece, esce come Dracula – L’Amore perduto. È così carico di location, ambienti, arredi, addobbi, costumi, coreografie, trucchi, cavalli e cavalieri entrambi con armature argentee, effetti speciali e non potete immaginare quanto altro ancora, che per farlo non c’è voluta una troupe, per quanto estesa. No, sembrerebbe ci sia voluta una vera e propria fabbrica. Come affittare la Fiat per produrre un film. Mai è stata più appropriata la definizione di ‘industria culturale’ data a metà del secolo scorso dal filosofo tedesco Theodor W. Adorno. Un’industria con tanto di capitale vertiginoso. Potremmo dire: “L’impero industrial-culturale colpisce ancora!”, perché il film funziona, fa presa eccome sul grande pubblico, è una gioia per i nostri occhi! È la fantasmagoria, i fuochi d’artificio dei colori, i suoni, i movimenti, le suspence. Besson, inoltre, ha avuto l’idea certamente proficua di infondere un’altra fonte letteraria in quella tratta dal romanzo di Bram Stoker. Si tratta di un altro romanzo, quello del 1985 di Patrick Süskid Il profumo.  Ma chi investe un tale più che ragguardevole capitale, oltre il biglietto, la merce-spettacolo, vuole venderci anche la propria ideologia che si sostanzia e si identifica nel capitale stesso. Non è che metto tutto quel fracasso di soldi per veicolare idee e ideali non miei, addirittura avversi. Questo film, infatti, cos’è? È la storia di un ribelle a dio, alla gerarchia, al dominio sull’ideologia nichilista del tempo, che alla fine viene schiacciato, ridotto in polvere dal sacro ordine costituito.

Anche il cast dà il meglio di sé. Caleb Landry Jones nel doppio ruolo di Dracula e del suo alter ego il Principe Vlad. Zoë Bleu, anche lei nel doppio ruolo della principessa Elisabeta e di Mina. Sorprendente Matilda De Angelis, vampira e navigata frequentatrice dell’alta mondanità. A Christoph Waltz tocca la parte di un prete massimo esperto nella caccia senza confini ai vampiri. Un ruolo improntato ad asetticità tecnica, amministrativa, da applicazione distaccata di un protocollo operativo minuziosamente collaudato, sperimentato nei secoli, così che è inutile sbattersi e farsi coinvolgere più di tanto, perché certamente destinato a prevalere.

Bisogna confrontare questo Dracula con l’altro prodotto di uguale genere cinematografico. Ossia, Frankenstein, 2025, di Guillermo del Toro, che ora è nelle sale, ma che dal 7 novembre è su Netflix. Anche qui è messa in scena la ribellione: anzi, una doppia ribellione. Prima quella del medico creatore contro l’ordine inviolabile della morte; poi quella della creatura contro il suo creatore. Ma anche in quest’ultima opera, che ha aspetti e momenti molto convincenti, la ribellione s’inceppa. Nonostante le intenzioni dell’autore, potremmo dire. Forse perché essa non è strutturalmente l’elemento cardine del racconto letterario originale di Mary Shelley, che il regista segue abbastanza fedelmente. O forse perché produzione e distribuzione hanno comunque fatto sentire l’influsso gravitazionale del loro massiccio pianeta economica. Christoph Waltz, però, è anche in Frankenstein.

Dracula – L’amore perduto, distribuzione Lucky Red. Durata: 129 minuti.

Frankenstein. Distribuzione: Netflix. Durata: 149 minuti.

di Riccardo Tavani

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