Lo strumento narrativo in un corso di acqua motricità per bimbi dai 2 anni

Serenamente contemplava la corrente del fiume; mai un’acqua gli era tanto piaciuta come questa, mai aveva sentito così forti e così belli la voce e il significato dell’acqua che passa. Gli pareva che il fiume avesse qualcosa di speciale da dirgli, qualcosa ch’egli non sapeva ancora, qualcosa che aspettava proprio lui.

(Hermann Hesse)

Una relazione, proposta in acqua, cambia le dinamiche del rapporto perché modifica l’equilibrio tra le parti, trasforma lo spostamento nello spazio e altera la percezione; le sensazioni che si originano attraverso il contatto corporeo con l’aria, infatti (come nella maggior parte dei casi avviene), sono molto diverse rispetto a quelle che si generano nel contatto con l’acqua.

Questa sostanza è alla base di tutte le forme di vita conosciute, compreso l’essere umano; infatti, l’uomo ha riconosciuto sin da tempi antichissimi la sua importanza, considerandola come uno dei massimi elementi costitutivi dell’universo e attribuendole un profondo valore simbolico, come nel caso di molte religioni o filosofie.

“Acqua (…), intrinsecamente legata alla nostra vita, non è mai una sola cosa: è fiume e mare, è dolce e salata, è nemica ed amica, è confine e infinito, è principio e fine, come affermava Eraclito”[1].

Il simbolismo legato all’acqua ha sempre significati inerenti alla purezza, alla fertilità, spesso vista come “fonte della vita”, qualcosa che in ogni caso rimanda alla nascita.

“L’acqua come elemento di vita è sempre più spesso utilizzata come mediatore sia per i suoi aspetti terapeutici-riabilitativi, sia per la connotazione di esperienza globale e ludica. La piscina è una risorsa messa a disposizione di tutti: non dovrebbero accedervi solo gli atleti, ma anche coloro che dall’acqua possono ottenere miglioramenti per la vita. Mi riferisco agli anziani, ai bambini, ai disabili, ai pazienti psichiatrici, alle donne in gravidanza o a chi ha subito un intervento e necessita di specifica riabilitazione motoria”[2].

L’acqua, dal punto di vista educativo, può essere considerata uno strumento che aiuta lo sviluppo della persona, in questo caso il bambino, la sua maturazione sul piano psico-fisico, un elemento che valorizza le specifiche potenzialità.

Inoltre, l’ambiente della piscina offre innumerevoli opportunità per sperimentare nuove sensazioni di gratificazione, relazione, sicurezza e autonomia, di divertimento e di gioco: l’acqua, infatti, consente giochi diversi da quelli che si fanno sulla terra. È rassicurante, nonostante subisca manipolazioni e frammentazioni, torna sempre ad essere “intatta”, perché non si rompe mai: “l’acqua è una magica esperienza ludica che si distingue proprio per la sua essenziale caratteristica di libertà di fare, di muoversi e di sperimentare”[3].

Credo sia possibile trovare una sintesi tra un corso di acquamotricità per bambini di due anni e l’elemento narrativo, come strumento per accompagnare la crescita del sé dei bambini: la narrazione, infatti, ha un potenziale pedagogico e didattico, sia come strumento di comunicazione delle esperienze, sia come strumento riflessivo per la costruzione di significati interpretativi della realtà e il pensiero narrativo diventa visibile nel racconto a partire proprio dai due anni circa.

La narrazione è, infatti, una delle prime modalità attraverso cui il bambino si esprime e comunica la propria visione del mondo. Il pensiero narrativo si accompagna ad un intenso lavoro cognitivo che porta alla creazione del sé, al mantenimento della sua coerenza e allo sviluppo affettivo.

Attraverso la narrazione è possibile leggere fenomeni e processi, è possibile interpretare la realtà che ci circonda e le emozioni: i particolari che vengono raccontati costruiscono una storia, diventano reali e determinano la storia stessa, nella quale si cercano i significati in cui ci si rispecchia emotivamente: le emozioni dell’uomo, attraverso la narrazione, trovano il modo più diretto di espressione: “Un altro strumento funzionale che abbiamo collaudato in acqua è il racconto, sempre partecipato di storie (…). L’obiettivo è sempre lo stesso, creare un ambiente delicato, motivante e gioioso per far diventare i bambini protagonisti del loro apprendimento. Anche in questo caso i bambini si apprestano all’ascolto come se fosse una magia, la loro attenzione è catturata e dedicano i loro occhi e il loro cuore al narratore”[4].

Si sviluppa, così, quella che comunemente viene chiamata “intelligenza emotiva”, introdotta da Salovey e Mayer (1990) e poi divulgata maggiormente da Goleman (1995), intesa come “la capacità di monitorare le proprie ed altrui emozioni, di differenziarle e di usare tale informazione per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni”[5].

Inoltre, “raccontare” permette di creare le basi dell’alfabetizzazione, una vera e propria costruzione di significati condivisi tra adulto e bambino, soprattutto in un’età come quella dei due anni, periodo in cui il minore inizia la scoperta di sé e del mondo circostante, attribuendo significati e ricercando una propria autonomia.

Molti studiosi hanno riflettuto sulla relazione fra linguaggio e pensiero, da Piaget, che sosteneva che è lo sviluppo cognitivo a rendere possibile quello linguistico, a Vygotskij che, considerando lo sviluppo delle due facoltà integrate e in rapporto con l’ambiente socioculturale del bambino, riteneva che tra linguaggio e pensiero ci fosse un legame, ma anche una sostanziale autonomia[6].

La narrazione può essere intesa in due fasi: la prima, il pensiero narrativo, che serve ad organizzare l’esperienza soggettiva e interpersonale; la seconda, il discorso narrativo, che rende possibile la riflessione su quello che si ascolta.

Questa duplice identità fa in modo che chiunque si trovi a contatto con la storia narrata possa immaginare molteplici significati o mettere in atto diverse letture, modellando il narrato sulla propria storia personale e sulle proprie esperienze.

In qualche modo potremo parlare, quindi, di un ascolto empatico che permetta di intendere davvero la nostra voce interiore, e quindi aiuti a predisporre anche all’ascolto dell’altro. Ci si ascolta e si ascolta per un bisogno di riconoscimento proprio, o un riconoscimento dato dagli altri, una necessità che si lega profondamente all’idea dello sguardo accogliente della madre fin dai nostri primi giorni di vita, ed anche prima. Una sensazione che ci permette di dare senso alle nostre emozioni, anche quelle meno consuete o spaventose, forse soprattutto quelle[7].

Questo vale anche per il bambino perché, attraverso l’esercizio della narrazione, riesce a dare un senso all’esperienza, ad attribuirgli significato, lo aiuta a comunicarlo a sua volta e quindi anche a poterlo ricordare.

Infatti, il racconto di una storia implica un confronto che in qualche modo deve farsi dialogico e per questo rimanda ad un ricordo, accompagnato sempre da una componente emotiva.

La narrazione, quindi, porta ad una riflessione sui contenuti ma, ancor più importante, ad un’elaborazione di questi (più o meno cosciente), sviluppando l’apprendimento che è “il frutto dell’interazione tra l’ambiente e l’organismo. La sua importanza e complessità aumentano man mano che si sale lungo la scala filogenetica passando da forme di apprendimento associativo, fondate sulla relazione stimolo-risposta, a forme di apprendimento cognitive sempre più articolate che coinvolgono funzioni psichiche superiori come l’intelligenza”[8].

Inoltre, le storie divengono sempre, o quasi, mezzo di condivisione, permettendo di dare un’interpretazione della realtà anche in forma autobiografica: “Maghi, eroi, balene, sirene e fatine magiche entrano in scena a sorpresa e trasformano i bambini in tanti personaggi capaci di nuotare, andare sott’acqua e fare tuffi come delfini”[9].

Molti sono i modi per comunicare: oltre che alle diverse lingue (intese come prodotti socialmente e storicamente individuate) esistono altri sistemi simbolici che l’uomo utilizza per esprimersi; un esempio importante può essere certamente il linguaggio non verbale (espressioni del volto, postura, movimenti), oppure la musica, che può essere utilizzata anche in contesti come l’acquamotricità, attraverso canzoncine per bambini: “La canzone è infatti espressione della sfera emozionale dell’individuo e costituisce un genere comunicativo; la musica, e nello specifico la canzone, rappresenta un elemento costante nell’esperienza di vita di ciascuno di noi, accompagna la nostra crescita, ci aiuta ad entrare in relazione con gli altri e contribuisce alla formazione del nostro sistema di valori”[10].

In questo senso, credo sia molto interessante anche la narrazione “senza parole”, pensiamo ad esempio ai silent book: me ne viene in mente proprio uno che si intitola La piscina, di Ji Hyeon Lee, BFE, 2014; racconta di due bambini che, circondati dal chiasso di una folla di gente dentro ad una piscina, riescono a trovare serenità solo immergendosi sott’acqua, dove incontrano pesci meravigliosi e coloratissimi, esperienza grazie alla quale diventeranno amici. Un’altra modalità di comunicazione può essere anche quella di raccontare attraverso i suoni e i rumori.

Prendiamo in considerazione proprio il “rumore bianco” dell’acqua, che in realtà rumore non è, bensì una frequenza di suono creata utilizzando l’intero spettro di frequenze che l’orecchio umano può udire. Questo suono rimanda le persone, e ancora di più i bambini, alla vita intrauterina durante la quale il feto percepiva questi effetti acustici costanti e senza tonalità particolari.

Ascoltato in silenzio, questo “rumore” può avere effetti rilassanti, accompagnando il raggiungimento di un benessere psico-fisico: il corpo si riposa, elimina le tensioni, le emozioni si calmano.

Una narrazione può essere associata ad un corso di acquamotricità perché hanno entrambi un inizio, uno svolgimento e una fine ed i fatti che vengono narrati, o le attività che vengono proposte, sono organizzati attraverso una sequenza spazio-temporale. Un’organizzazione che nel complesso dà un senso al momento che si vive, una routine che, in bambini di due anni, può essere rassicurante e trasmettere tranquillità.

L’acqua, inoltre, unita ad una narrazione, può essere un elemento facilitante, il contesto ideale per andare oltre i propri limiti, sia fisici che psicologici: “Gli aspetti psicodinamici dell’acqua riconducono all’affettività, alle emozioni e al nostro vissuto relazionale.

L’acqua culla, avvolge, permettendo il movimento spontaneo e dando spazio al corpo che viene vissuto, percepito e mentalmente rappresentato; l’ambiente acquatico permette di accogliere, rispondere, favorire lo sviluppo delle capacità espressive e comunicative, sia motorie che affettivo relazionali, e potenziare la maturazione psicologica, sulla spinta del piacere di agire, giocare, muoversi, scambiare e parlare nel mezzo liquido”[11].

Una narrazione, quindi, che porti ad “ascoltare”, parole, rumori, suoni o silenzi, perché “Se l’udire riguarda l’orecchio, l’ascoltare impegna il cuore”[12].

di Francesca Mara Tosolini Santelli (educatrice e acquamotricista neonatale)


Bibliografia

  • Roberta Capodicasa, I Greci e l’acqua, “I Quaderni del Girasole” n.3
  • Loredana Belloni, Psicomotricità in acqua, Percorso educativo e terapeutico, Erickson, Trento, 2007
  • Federica Costantini, Percorsi in acqua…per mamme & bambini, “I Quaderni del Girasole” n.3
  • Federica Costantini, Prima del PAR: valenze pedagogiche nei percorsi di Acquamotricità Neonatale, “I Quaderni del Girasole” n.4
  • Paolo Gambini, Introduzione alla psicologia, volume primo: i processi dinamici, Franco Angeli, Milano, 2004
  • Paolo Gambini, Introduzione alla psicologia, volume secondo: i processi cognitivi, Franco Angeli, Milano, 2004
  • Vittorio Luigi Castellazzi, Ascoltarsi, Ascoltare, le vie dell’incontro e del dialogo, Edizioni Magi, Milano, 2011
  • Stefania Moscatello, La Psicomotricità in acqua nella pratica riabilitativa, “I Quaderni del Girasole” n.3

[1] Roberta Capodicasa, I Greci e l’acqua, “I Quaderni del Girasole” n.3

[2] Loredana Belloni, Psicomotricità in acqua, Percorso educativo e terapeutico, Erickson, Trento, 2007

[3] Federica Costantini, Percorsi in acqua…per mamme & bambini, “I Quaderni del Girasole” n.3

[4] Federica Costantini, Prima del PAR: valenze pedagogiche nei percorsi di Acquamotricità Neonatale, “I Quaderni del Girasole” n.4

[5] Paolo Gambini, Introduzione alla psicologia, volume primo: i processi dinamici, Franco Angeli, Milano, 2004

[6] Paolo Gambini, Introduzione alla psicologia, volume secondo: i processi cognitivi, Franco Angeli, Milano, 2004

[7] Vittorio Luigi Castellazzi, Ascoltarsi, Ascoltare, le vie dell’incontro e del dialogo, Edizioni Magi, Milano, 2011

[8] Paolo Gambini, Introduzione alla psicologia, volume secondo: i processi cognitivi, Franco Angeli, Milano, 2004

[9] Federica Costantini, Prima del PAR: valenze pedagogiche nei percorsi di Acquamotricità Neonatale, “I Quaderni del Girasole” n.4

[10] Federica Costantini, Prima del PAR: valenze pedagogiche nei percorsi di Acquamotricità Neonatale, “I Quaderni del Girasole” n.4

[11] Stefania Moscatello, La Psicomotricità in acqua nella pratica riabilitativa, “I Quaderni del Girasole” n.3

[12] Vittorio Luigi Castellazzi, Ascoltarsi, Ascoltare, le vie dell’incontro e del dialogo, Edizioni Magi, Milano, 2011

 

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