La Montagna e la sicurezza illusoria

Cosa distingue un uomo vivo da uno morto? Il soffio vitale, quella che noi chiamiamo “Anima”.
La cosa più preziosa che abbiamo, qualcosa di indefinito che nemmeno la scienza è riuscita a spiegare.
Eppure spesso dimentichiamo il valore del nostro soffio vitale e per distrazione o scelte sbagliate ne interrompiamo il flusso.

Dal primo Gennaio 2022 la legge impone l’obbligo di possesso in tutte le attività svolte in ambienti innevati, dei dispositivi Artva, Pala e Sonda (in seguito APS).
Al di la di ogni polemica e interpretazione della legge, volevo fare delle considerazioni che vanno più a fondo nell’animo umano.

Quando andiamo fuori in un ambiente non addomesticato dall’uomo, in teoria dovremmo essere a nostro agio e perfettamente adeguati al luogo in quanto noi stessi animali (dal lat. animalis -e ‘che dà vita, animato’), il problema è che adeguati non lo siamo più; viviamo nelle nostre città con servizi e strade, elettricità, riscaldamenti e ogni tipo di comodità, come potremmo essere ancora in grado di leggere e valutare i segnali di pericolo di un ambiente selvaggio?

La risposta viene da se, non siamo in grado di valutare un bel niente, l’antica saggezza che per milioni di anni ci siamo tramandati da una generazione all’altra, è stata azzerata dal nostro mondo addomesticato.
Abbiamo interrotto il passa parola, dimenticato il nostro senso di appartenenza alla natura, tassello dopo tassello, generazione dopo generazione, abbiamo acquisito eccezionali abilità intellettive, ma perso le nostre capacità primordiali e il nostro sesto senso.

Abbiamo costruito attorno a noi un mondo più facile e confortevole, quindi perché andare per montagne quando dal nostro salotto possiamo vedere Alpi, Pirenei e Himalaya senza rischi e senza fatica? Curiosità? Voglia di vedere con i nostri occhi queste meraviglie? O forse perché nel nostro DNA scritto in milioni di anni evolutivi, c’è quella pulsione all’azione che le agiatezze non hanno completamente sopito?
Non si sa, ma è uno dei motivi per cui spesso ci andiamo a cacciare nei guai e che i nostri politici trattano come un problema pratico, riducendo di fatto le libertà individuali per non doversi assumere responsabilità scomode, ma questa è un’altra storia.

Purtroppo la necessità per molti di noi di ricongiungersi alla natura, anche se soltanto nel tempo libero, non fa di noi degli esperti di wilderness e quando usciamo dalla nostra zona di confort, ci esponiamo inevitabilmente a dei rischi.
Dalla nostra abbiamo la conoscenza, la capacità di raccogliere dati per analizzarli e capire meglio i fenomeni che possono provocare un evento negativo, ma la nozionistica non è sufficiente a prendere le giuste decisioni e l’istinto degli uomini delle caverne non lo abbiamo più.
Eppure, in questo guazzabuglio di comportamenti incoerenti, c’è quello che Jack London ha chiamato “Il richiamo della foresta”, il nostro istinto ancestrale che ci spinge a uscire fuori.

L’unica strada che abbiamo per riappropriarci almeno in parte di questo istinto è l’esperienza, l’istruzione e l’applicazione di tutte le tecniche usate da esperti della montagna, l’uso di mezzi tecnologici che ampliano i nostri sensi, l’uso delle tecniche di predizione come il meteo e il bollettino rischio valanghe, ma tutto questo non basta.
Chi svolge attività potenzialmente pericolose come l’alpinismo, magari non lo dice, ma in cuor suo sa che potrebbe morire, eppure non rinuncia.
Sul suo piatto della bilancia, ognuno mette la propria vita in cambio di quale vantaggio? Che vantaggio c’è nello scalare una parete? O nel salire e scendere con gli sci una vetta? Qualcosa che va oltre il comprensibile, curiosità, voglia di libertà, fuga dalla realtà quotidiana, ma se parliamo di fatti concreti, nessun vantaggio tangibile.

A questo punto, dato il libero arbitrio di chiunque, nasce l’esigenza di regolamentare in qualche modo questa irrefrenabile voglia di protagonismo.
Sicuramente l’obbligatorietà dei dispositivi APS è un altro piccolo passo verso una maggior sicurezza e visti i costi dei dispositivi, i più inesperti e chi saltuariamente frequenta montagne non potrà più fare escursioni, o quanto meno sarà costretto ad adeguarsi frequentando un corso di escursionismo invernale.
Diverso è per gli utenti abituali che usano andare in ogni stagione, ma l’acquisto degli APS non basta, è necessario saperli usare e non è sufficiente sapere la teoria, sfido chiunque a mettere in pratica nozioni lette su un libro, con il cuore in gola e lo smarrimento per l’accaduto, sapendo che il proprio compagno sommerso ha 20 minuti di autonomia.
Cronometro alla mano in quelle condizioni, 20 minuti passano in un lampo e non possiamo attendere i soccorsi, dobbiamo essere in grado di reagire immediatamente coordinandoci nella ricerca.

Il fatto è, che non bisogna proprio arrivarci al distacco di una valanga, ogni errore in questi ambienti non ha tre vite come i videogiochi, qui non si può sbagliare.
Fondamentale è la preparazione individuale atletica e tecnica, la scelta degli itinerari deve essere fatta considerando tutte le variabili e scegliendo coerentemente con le proprie capacità reali.
Capita spesso di incontrare persone non adeguatamente attrezzate o allenate, che si avventurano rischiando più del dovuto per ignoranza.
Un altro aspetto della questione è legato alla percezione di se e dell’ambiente esterno, è un problema individuale che colpisce tutti, dai neofiti ai più esperti, molti incidenti riguardano proprio i più esperti che di norma avrebbero tutte le nozioni per valutare i rischi di un’escursione, prima e durante.
Nello studio “Gli errori cognitivi nella valutazione del rischio valanghe”, è emerso che:
“E’ possibile ipotizzare che alcuni fattori cognitivi, con origine nei processi mentali degli escursionisti, possano spingere gli alpinisti ad assumere dei rischi percorrendo itinerari esposti al pericolo delle valanghe. I processi mentali a cui facciamo riferimento includono il ragionamento e la presa di decisione. E’ ipotizzabile che l’assunzione di rischio sia collegabile ad una scorretta percezione delle proprie capacità e un’impropria interpretazione dell’indice di pericolo diramato.”
“Dallo studio emerge anche il ruolo svolto nella decisione dai bias cognitivi. A parità di esperienza, di età, di capacità tecnica, etc. coloro che hanno maggiore overconfidence, ovvero, un’eccessiva fiducia nella correttezza dei propri giudizi, sono più inclini a intraprendere la gita.
Analogamente all’overconfidence, anche un altro tratto individuale influisce in modo positivo sulle decisioni degli scialpinisti e ciaspolatori di intraprendere la gita: la loro propensione a compiere sport o attività ricreative rischiose.”
“I risultati della ricerca, possono aumentare la consapevolezza individuale dei frequentatori invernali, contribuendo a modificare l’atteggiamento di scialpinisti e ciaspolatori che si ritengono esenti da errori di valutazione. La tendenza a sopravvalutare la fiducia nei propri giudizi, influenza i processi decisionali individuali, plasmandone le percezioni e il comportamento, aumentando l’esposizione a determinati rischi e il numero di incidenti evitabili.”

Anche l’eccessiva fiducia nei mezzi tecnologici, concorre ad aumentare un senso di sicurezza effimero, il fatto di avere con se uno smartphone, un gps e altre tecnologie moderne, non ci mette al riparo dai pericoli di un lastrone che si stacca al nostro passaggio.
Certo, avere con se gli APS e gli altri apparati, ci fa sentire più sicuri, ma questo non deve diventare la giustificazione ad abbassare la guardia, anzi.
Con l’esperienza sul campo, possiamo apprendere come individuare i potenziali pericoli dell’ambiente circostante, osservando il terreno, il tipo di neve, l’esposizione, l’inclinazione e tutte le variabili che potrebbero portare a un distacco di valanga.
Anche il fattore umano può concorrere a creare quei bias cognitivi che potrebbero influenzare le nostre decisioni. Per fattore umano, intendo lo stress e la fatica, le emozioni, l’orgoglio e l’ego, le pressioni sociali quali il senso di appartenenza ad un gruppo etc..
Un altro fattore negativo, è legato proprio alla socialità virtuale, la viralità di alcuni video di imprese estreme pubblicate sul web può incentivare comportamenti rischiosi.
Le nuove generazioni, che non hanno i mezzi per poter capire le criticità di certi atteggiamenti, spinti da emulazione, rischiano spesso più del dovuto, incoscientemente e senza avere le nozioni base per affrontare l’ambiente severo della montagna.
Questo è un problema che va oltre la sfera di scialpinisti e ciaspolatori, cioè categorie che intendono la montagna in senso naturalistico; coinvolge categorie che vedono nella montagna una sorta di parco giochi dove svolgere attività ad alto rischio. La spettacolarizzazione nei media di una marca di bevande, crea un tessuto di persone che ripropongono tramite la condivisione sui social, imprese oltre il limite del ragionevole.

In conclusione, come non possiamo azzerare i pericoli della vita nelle nostre città, e ci conviviamo ogni giorno, non possiamo azzerare i pericoli derivati dalla frequentazione della montagna.
E’ però logico fare il possibile per ridurre ogni rischio eccessivo, attraverso processi di apprendimento e applicazione sul campo, imparando a non cadere nelle trappole interpretative e umane cui siamo inevitabilmente soggetti.
Le conseguenze sono terribili e il gioco spesso non vale la candela, perché finire sotto una valanga può portare alla fine definitiva di ogni ulteriore gita, ed essere in grado di rinunciare è e sarà sempre un valore aggiunto, una piccola sconfitta ma un grande merito, che permette di continuare a crescere, in ogni senso.

di Roberto De Stefanis

Roberto De Stefanis, classe 1963, ultraciclista, alpinista, velista, musicista, blogger e video maker, ha al suo attivo diversi viaggi in bicicletta, tra cui l’attraversamento delle alpi da Trieste a Nizza.

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Foto archivio Roberto De Stefanis, e Paolo Casanova.

Bibliografia:
Gli errori cognitivi nella valutazione del rischio valanghe
Condotto dal Dipartimento di Economia e Management, Dipartimento di Fisica Università di Trento.
Dal Centro di Ricerca Sport, Montagna e Salute CERISM Università di Verona.

Dall’IRVAPP Fondazione Bruno Kessler Trento
Dip. Scienze Economiche e Aziendali Università di Padova
L. Savadori, N. Bonini, F. Schena, S. Pighin, P. Tosi, E. Rettore, S. Zec.

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