La storia di Raffaele Tortora, il sindaco di Castellabate

Al Cimitero di Castellabate, all’ora di pranzo, non c’è nessuno. I turisti cercano il fresco giù al mare, nello splendido litorale di Santa Maria, la gente del posto è a casa, all’ombra delle persiane. In giro c’è solo Gianni, il custode. È lui a guidarmi tra le vie del Camposanto, ma soprattutto è lui a parlarmi di Raffaele Tortora.

La sua sepoltura, più che una lapide, è un vero e proprio monumento. Da un lato la sua foto, il sorriso sotto un paio di baffi, dall’altro la scritta “Medaglia d’Oro al Valor Civile”. “Conoscendolo una cosa simile non gli sarebbe piaciuta – racconta Gianni – lui era semplice, gli sarebbe bastata una lastra, una scritta e niente più”. Eppure io di Raffaele Tortora non so nulla. Non conosco il nome, non conosco la sua storia. Così prendo il cellulare, cerco su internet. Ma ancora niente. Devo aggiungere la parola “Castellabate” per trovare articoli di cui, il più recente, è di due anni fa.

Raffaele Tortora era il sindaco di questo paesino nel cuore del Cilento, in provincia di Salerno. Di scuola democristiana, fu eletto il 9 giugno del 1996 e riconfermato, successivamente, nel 2000. La sua stagione in amministrazione era diretta all’apertura, alla modernità. Amante dell’ambiente, sostenitore del nascituro Parco Nazionale del Cilento, sostenitore dell’arte e della cultura, fu il primo a investire in una nuova visione turistica per Castellabate. Erano gli anni in cui questa zona veniva inserita dall’Unesco nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità, nel programma Man and Biosphere, a riconoscere il valore del “Paesaggio culturale” ricco di memorie e beni artistici oltre che naturali. Erano gli anni in cui alle sue coste e al suo mare venne assegnata la Bandiera Blu dalla FEE. “Lello, lo chiamavano così anche se era il sindaco, ha recuperato il Castello dell’Abate, la Villa Matarazzo, ha creato un’isola pedonale che è tra le più grandi del Cilento – ci racconta ancora Gianni – ma la cosa più bella era la sua personalità. Girava per Castellabate con la Vespa, a controllare i lavori, a parlare. Io ero già operaio comunale, lui era il mio capo. Ogni volta che dovevo fare qualcosa mi diceva sempre “Per piacere”, “Per favore”. È una cosa che mi è rimasta sempre impressa, era un vero signore”.

È una sera di settembre, del 2010, che quella stagione di apertura politica e di rinnovamento si interrompe. Scoppia un incendio, nelle campagne di Castellabate, le fiamme avvolgono le colline di San Marco e Punta Tresino. Il sindaco Raffaele Tortora è in prima linea, a coordinare le operazioni di evacuazione degli ospiti di un albergo, quando avverte una fitta al petto e alla testa. Si accascia a terra, viene trasportato d’urgenza all’ospedale di Vallo della Lucania, ma dopo tre giorni muore. Lo stesso giorno i suoi organi, cuore, reni, pancreas e fegato, vengono donati a pazienti in attesa, all’ospedale di Napoli. A novembre, l’allora Ministro dell’Interno, Enzo Bianco, gli conferisce la Medaglia d’Oro: “Il sindaco infatti dopo essersi coraggiosamente adoperato, insieme ai Vigili del Fuoco, per sedare un violento incendio che stava per aggredire le abitazioni del suo paese, per lo sforzo fu colto da ictus che lo portò dopo qualche giorno al decesso.”

Una vita per la comunità, una vita per Castellabate. Un paese la cui storia è legata, per sempre, a quella del suo sindaco, Raffaele Tortora.

di Lamberto Rinaldi