Per prevenire le mutilazioni genitali femminili, serve un approccio integrato

La mutilazione genitale femminile, o taglio, è riconosciuta a livello internazionale come una violazione dei diritti umani. Oltre 200 milioni di donne nel mondo hanno subito mutilazioni genitali, e secondo i dati UNFPA nel 2024, quasi 4,4 milioni di ragazze – equivalenti a più di 12.000 al giorno – sono a rischio di subire mutilazioni genitali femminili (MGF). 

Sono anche note come circoncisione femminile, si tratta di pratiche tradizionali che vengono eseguite in vari paesi con finalità non terapeutiche, e che possono ledere fortemente la salute psichica e fisica di bambine e donne che vi sono sottoposte. Trovano la loro diffusione in diversi paesi africani, mediorientali, in Indonesia, in Malesia, ma spesso solo presso alcuni gruppi etnici presenti in tali paesi.

Il 6 febbraio scorso si è celebrata la Giornata Mondiale della Tolleranza Zero contro le Mutilazioni Genitali Femminili, istituita dalle Nazioni Unite con l’obiettivo di sensibilizzare ed intensificare gli sforzi per l’eliminazione di questa pratica dannosa ed estremamente pericolosa.

L’Africa è il continente in cui il fenomeno è più diffuso, con 91,5 milioni di ragazze di età superiore a 9 anni vittime di queste pratiche. Si tratta purtroppo di un’usanza antica radicata nelle norme sociali tradizionali e praticata come segno di identità culturale. Queste pratiche, eseguite e tramandate dalle donne più anziane del gruppo, rientrano nell’ambito del controllo socioculturale del corpo femminile da parte delle comunità stesse.

Non è possibile sottrarvisi, pena l’esclusione e l’ostracizzazione della bambina (e futura donna) dal gruppo stesso, nonché l’impossibilità di trovare un marito, fattore essenziale per il suo mantenimento e la sua sopravvivenza futuri. Indubbiamente tutto ciò si configura come atto di estrema misoginia delle società patriarcali che le esprimono poiché non solo negano il piacere sessuale alle donne (riservandolo così ai soli uomini), ma creano loro anche problemi fisici di varia gravità. 

Le pratiche di circoncisione genitale sono invasive, non necessarie, pericolose, dolorose e assai traumatiche, poiché vengono recise parti sane dell’apparato riproduttivo femminile, cosa che può portare facilmente a complicazioni di natura igienico-sanitaria nel breve e lungo periodo e, nei casi più estremi, alla morte per dissanguamento o shock. 

Le mutilazioni sono praticate sia per scopi religiosi che tradizionali, affinché le giovani crescano controllabili, remissive e sottomesse, quindi risultino accettate all’interno del gruppo sociale di cui sono parte al fine di conservarlo.

L’Amref (African Medical and Research Foundation) è una organizzazione non governativa internazionale fondata nel 1957 e tutt’oggi attiva che si propone di migliorare la salute in Africa attraverso il coinvolgimento attivo delle comunità locali. E’ impegnata nella lotta alle MGF in Tanzania, Etiopia, Uganda, Malawi, ed in Kenya, dove, nella sola contea di Kajiado, dal 2009 ad oggi, l’azione di Amref ha permesso di diminuire del 24% le MGF, e sono oltre 20.000 le ragazze direttamente e indirettamente protette da questa pratica.

Per promuovere l’abbandono di questa usanza, sono necessari sforzi coordinati e sistematici, che devono coinvolgere intere comunità e favorire il dialogo sociale, affrontando le esigenze di salute sessuale e riproduttiva delle donne e delle ragazze che ne subiscono le conseguenze. 

Amref promuove un approccio basato su azioni di prevenzione e contrasto che integrino il contesto giuridico, i sistemi comunitari, l’educazione, i sistemi sanitari e la ricerca. In alcune regioni la mutilazione identifica il momento in cui una ragazza è pronta per il matrimonio, per questo uno degli obiettivi di Amref è fornire gli strumenti affinché le comunità scelgano di intraprendere Riti di Passaggio Alternativi (ARP), senza alcuna forma di “taglio”.

Le mutilazioni genitali femminili sono una realtà concreta anche in Europa, dove oggi vivono più di 600.000 donne e ragazze che hanno subito le MGF e altre 180.000 sono a rischio ogni anno. L’Italia, in particolare, è uno dei Paesi che ospita il maggior numero di donne escisse – più di 87.000 – in conseguenza di un consistente flusso migratorio femminile proveniente da Paesi ad alta prevalenza di MGF. 

Ci spiega Laura Gentile, Project Coordinator di Amref Italia: “Sul territorio italiano ci occupiamo non solo di formare e sensibilizzare servizi ed istituzioni, ma costruiamo con loro delle reti di azione con i membri delle comunità legate a Paesi in cui si praticano le Mutilazioni Genitali Femminili come con il Progetto Y-ACT, presente a Roma, Milano, Torino e Padova, dove sono già attive Reti di prevenzione e Contrasto alle MGF. Crediamo infatti che per generare un cambiamento sia fondamentale ascoltare le comunità che vivono in Italia e creare spazi di confronto. I giovani coinvolti nel Progetto sono i protagonisti, i promotori di azioni in prima persona perché proprio da dentro le comunità possa attivarsi e rafforzarsi il percorso di impegno ad abbandonare la pratica delle MGF e a promuovere l’empowerment femminile, contro ogni forma di violenza di genere”. 

Stefania Lastoria

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