Wenders la pelle cinematografica di Kiefer


Sono nati lo stesso anno, il 1945. E da molti anni, trentadue, si conoscono, sono amici. Ma solo discutendo della possibilità di realizzare insieme un film, hanno scoperto una cosa che ha sorpreso entrambi. Anselm Kiefer avrebbe voluto in realtà fare nella vita il regista cinematografico, e Wim Wenders il pittore, l’artista. E questa circostanza, anche se non è mai detta nel film Anselm, non tanto si percepisce epidermicamente,  inconsciamente, ma si sente, eccome!

Wenders aveva precedente affermato di non aver mai penetrato, compreso del tutto l’opera del suo amico. Questi poi lo ha invitato nel suo atelier-capannone di Barjac, in Francia, talmente vasto che lo si può visitare soltanto girandolo in bicicletta. Wenders si rende conto della vastità, varietà, monumentalità, complessità dell’opera di Kiefer. Vi si sente attratto, scaraventato, catapultato dentro. Il film, la sua versione 3D, è già nella sua pelle. 

Wenders e Kiefer si sono scambiati una promessa e una pretesa di sorpresa. E Anselm, il film realizzato, lo è davvero, in modo artisticamente alto. Tanto da andare oltre il genere documentario, e di mostrarsi quale opera d’arte in sé. Anzi, è la pelle, l’epidermide cinematografica che mancava all’opera di Kiefer. E che lui desiderava. Come Wenders aspirava a che la propria opera fosse arte non più solo in senso cinematografico, ma quale pittura, scultura, arte contemporanea in senso vero e proprio. Attraverso movimenti di macchina magistrali, Wenders svela la complessa arte di Kiefer, non rimanendo sulle sue vaste superfici, ma entrandovi dentro, scendendo nel suo sottosuolo concettuale, ma anche fisico, come ci mostra il film. 

L’essere e il nulla, afferma Kiefer, sono aspetti simultanei l’uno dell’altro. Senza un prima e un dopo. Per questo, pur protendendoci noi uomini a fare cose grandi, dentro di esse depositiamo simultaneamente anche già il fallimento. Sicché le rovine, il caos, il dissesto, la ruggine paludosa, la fangosa putredine, lo stesso pencolare in alto delle sue torri celesti, sono la rappresentazione dell’autenticità del sottosuolo fallimentare che colonne sorregge tramite colonne umide, consunte l’apparire di ciò che in superficie chiamiamo realtà. 

E la verità di tale fallimento nella nostra visione della realtà, non paradossalmente si risolve in trionfo, in gloria non meramente artistica, ma effettuale. Perché nell’epoca del piano sempre più inclinato della politica, solo l’arte indica come rimettere insieme gli elementi dispersi, dilaniati del mondo nella coscienza, per ricomporli sul piano della giustizia esistenziale. 

Mercoledì, 8 maggio 2024, alle ore 18 discuto con il Professore Giuseppe Di Giacomo di Anselm. Due proiezioni del film: ore 16.30 e ore 19.30 (durata 93 minuti). A cavallo dei due spettacoli l’incontro-discussione, cui il pubblico può partecipare, vedendo il film prima o dopo. Al Cinema Farnese, Campo de’ Fiori, Roma. 

Riccardo Tavani

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