L’inevitabile crisi del Sistema Sanitario

Che il Sistema Sanitario Nazionale sia in difficoltà se ne sono accorti tutti, soprattutto chi ha bisogno di un esame strumentale o di una visita specialistica, o chiunque abbia bisogno di assistenza domiciliare. 

Il tema, nei giorni scorsi, è stato portato all’attenzione dei media dall’appello firmato dal premio Nobel Giorgio Parisi e da altri 13 uomini di scienza, tra cui Silvio Garattini e Franco Locatelli, per citare quelli più noti al grande pubblico.

Il punto principale toccato dal documento è che “la spesa sanitaria in Italia non è in grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea)” e che “l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute”. Si aggiungono i problemi di tipo organizzativo, come le difficoltà nella continuità delle cure e la carenza di personale, soprattutto nelle zone disagiate e nel sistema dell’emergenza.

Il governo, al contrario, sostiene che la spesa sanitaria italiana sia in crescita, e che sia fuorviante calcolarla come percentuale del PIL: sembra più bassa perché il PIL è cresciuto.

Si sa, i numeri possono essere ingannevoli o chiarificatori, a seconda di come li si usa. Perciò, cerchiamo di vederci meglio.

In effetti, il Lussemburgo sembra spendere molto poco per la sanità: il 5,7% del PIL, molto meno dell’Italia. Se però calcoliamo qual è la spesa sanitaria pro capite (cioè quanto si spende effettivamente per ciascun cittadino, indipendentemente dal valore del PIL o dalla numerosità della popolazione) si scopre che il Lussemburgo spende il doppio dell’Italia. La media europea è di circa 3.500 euro per abitante, ma si va dai 5.500 euro di Germania e Olanda ai 2000 della Grecia. L’Italia spende un bel po’ meno della media europea, attestandosi sui 3000 euro: meno in valore assoluto, e ancor meno in rapporto al PIL.

D’altronde, l’aumento di spesa sanitaria sbandierato dal governo, sebbene sia meglio che niente, non compensa nemmeno gli effetti della svalutazione.

Ma non si tratta tanto di stilare una classifica: il punto è che questi soldi non bastano a soddisfare i livelli essenziali di assistenza, come sottolineato dai 14 firmatari, cioè non bastano a garantire a tutti i cittadini le “cure irrinunciabili”: una base sotto la quale non si dovrebbe mai scendere. E questo è in contraddizione con le finalità stesse del nostro sistema sanitario.

Inoltre, il sistema sanitario ha dimostrato di non reggere ai picchi di più alte richieste derivanti da eventi rari, ma sempre possibili, come la recente pandemia. Ma anche le ricorrenti epidemie influenzali mandano in tilt gli ospedali. La politica non sembra aver fatto tesoro dell’esperienza, e tutte le promesse fatte nel corso della pandemia, di rinforzare il sistema sanitario pubblico, sono andate a farsi benedire. Sta di fatto che in Italia la spesa per cure mediche a carico dei privati cittadini è tra le più alte in Europa, mentre tra le fasce più povere della popolazione cresce il fenomeno della rinuncia alle cure. 

In parole povere: solo i più ricchi riescono a curarsi, integrando di tasca propria i limiti del sistema pubblico. Particolarmente nel Mezzogiorno, con un divario che è destinato a crescere, se si attuerà (Dio ne scampi!) l’autonomia differenziata.

Quel che è certo è che il SSN andrebbe maggiormente finanziato e meglio  organizzato.

Ma si fa presto a dire aumentiamo la spesa sanitaria! C’è sempre da fare i conti con l’enorme indebitamento pubblico italiano e con i vincoli di bilancio europei, recentemente sottoscritti dal governo.

Il modo più semplice (e dannoso) sarebbe di finanziare la sanità aumentando il debito. Per fortuna, i partiti della maggioranza, ora che sono al governo, hanno cambiato idea e sottoscritto il nuovo patto di stabilità europeo. Personalmente mi fa piacere, perché aumentare l’indebitamento è un’iniqua tassa sul futuro dei nostri figli: l’obiettivo di qualunque governo dovrebbe essere ridurre il debito, non aumentarlo. 

L’alternativa sarebbe quella di aumentare le tasse. Ma anche questa strada è invisa al governo, e non a torto. Almeno nel senso che non si possono più aumentare le tasse a quel tartassato 50% degli italiani che pagano l’80% dell’Irpef, cioè i lavoratori dipendenti. Si potrebbe, però, modificare il carico contributivo, gravando meno sul lavoro e più sugli alti redditi e sui patrimoni: per esempio, sui famosi extra profitti realizzati da banche, fornitori di idrocarburi e case farmaceutiche grazie alle recenti crisi, dal covid, all’inflazione, alle guerre. Extra profitti che, essendo stati realizzati in un momento di grave sofferenza, sanno un po’ di sciacallaggio.

Si potrebbe ipotizzare, per questi soggetti, una tassa di scopo, vincolata al risanamento del Ssn, cui sarebbe difficile opporsi senza mettersi contro l’opinione pubblica, che è perfettamente consapevole del problema, visto quanto pesa sulla salute e le tasche dei cittadini.

Peccato che questa soluzione, che sarebbe sacrosanta, è piuttosto invisa al governo, al di là di qualche velleitaria dichiarazione, poi rimangiata nei fatti. 

Da ultimo, si potrebbe ricorrere al MES, ottenendo prestiti con interessi inferiori a quelli di mercato. Sarebbe sempre un indebitamento, ma a costo inferiore e per una buona causa. Ma di questo è meglio non parlare, visto che il governo non ha nemmeno voluto ratificare il nuovo meccanismo. 

In ogni caso, il governo preferisce spendere soldi per la flat tax (qualunque cosa ciò voglia dire) piuttosto che per la salute.

In base a queste considerazioni, sembra evidente che dovremo tenerci un sistema sanitario sotto finanziato e inefficiente, non più in grado di garantire una TAC in tempi utili o un pronto soccorso che non sia un calvario.

Ma forse i motivi di bilancio non sono l’unico ostacolo.

Non dobbiamo, infatti, dimenticare che nei banchi della maggioranza siede un certo Antonio Angelucci. Se ne è parlato molto in relazione alla sua presenza nell’editoria, con il controllo di alcuni importanti giornali (Libero, Il Tempo, Il Giornale, Il Corriere dell’Umbria), ed all’ipotesi di acquisto dell’AGI. Ma non possiamo dimenticare che questo signore controlla un vero potentato nel campo della sanità privata, la Tosinvest Sanità. E, qui da noi, la sanità privata è in buona misura finanziata dallo Stato attraverso gli accreditamenti e, comunque, tanto più guadagna quanto meno funziona quella pubblica. 

Un piccolo conflitto d’interesse che è supinamente accettato; anzi, nemmeno se ne parla. D’altronde, Angelucci preferisce non farsi notare; infatti, è un grande assenteista dall’attività parlamentare, con il 96,4% di assenze (dati del 2022). Considerato il suo scarso interesse per i lavori parlamentari, è lecito il dubbio che si sia fatto eleggere soprattutto per badare ai propri interessi. Resta, se mai, da capire perché Forza Italia prima, la Lega dopo, lo abbiano fatto eleggere nelle proprie liste: a che serve un deputato che non è quasi mai “al lavoro”?

Sta di fatto che gli italiani spendono di tasca propria oltre 40 miliardi di euro l’anno (la stima è approssimata per difetto, poiché l’ultimo dato consolidato è del 2022), mentre il 17% di noi (i meno abbienti) si indebita o rinuncia alle cure, per le inadempienze del Ssn. Non voglio criminalizzare gli imprenditori della sanità privata ma, dal momento che ricevono soldi pubblici, non dovrebbero sedere in Parlamento, per non essere i finanziatori di sé stessi coi soldi nostri.

C’è poi il problema non trascurabile della riorganizzazione del sistema sanitario, sulla quale, almeno si spera, sta lavorando il ministro della Salute. Qui, apparentemente, dovremmo esser messi bene: infatti, il ministro Schillaci è medico, nonché professore ordinario e membro esperto del Consiglio superiore di sanità, ed è stato preside della facoltà di medicina e poi rettore dell’Università di Tor Vergata.

Meglio di così non si può desiderare ma, ahimè, anche qui c’è un problema. 

Infatti, nello scorso settembre un’indagine giornalistica (cfr. STAMPACRITICA del 31/10/23) ha scoperto che in diversi lavori scientifici a sua firma è stata usata la medesima fotografia in contesti diversi, spacciandola per quello che non era. Il fatto è stato poi verificato dalla nota rivista internazionale Science, che ha confermato che le medesime immagini sono state effettivamente usate in lavori diversi per patologie diverse. Secondo l’autorevole rivista, ciò è segno, nella migliore delle ipotesi, che quei lavori sono inaccurati. E nella peggiore delle ipotesi? “Quando un gruppo sembra fare tali errori ripetutamente, questo potrebbe indicare che i loro processi di trattamento dei dati possono essere stati viziati”. Il virgolettato è tratto dall’articolo di Science; sono prudenti parole il cui concreto significato penso sia evidente per tutti: quelle pubblicazioni non sono attendibili. Ma anche questo scandalo, che sarebbe intollerabile in un Paese normale, sembra non interessare molto al mondo politico e alla maggior parte dei mezzi di comunicazione. Ma può uno, che non sa (nella migliore delle ipotesi) organizzare l’editing di un lavoro scientifico, governare una cosa difficile e complessa come una sanità pubblica sottofinanziata e in crisi?

Cesare Pirozzi