Nelle tue mani è la mia vita

Sono una prigioniera di guerra. Una schiava, dovrei dire, per dire la verità, in tutta la sua crudezza. Gli uomini che mi hanno tolta alla mia terra, però, ufficialmente, mi definiscono prigioniera. Non ho catene, non mi tengono legata, né segregata. Non voglio raccontarvi, nei dettagli, l’orrore dei miei giorni, da prigioniera. Non voglio perché, subito dopo, dovrei morire e ho scoperto, invece, che è più facile mentire a me stessa. Quando le loro mani, toccano il mio corpo, mi assento, quando mi chiedono di cucinare, di lavare, di avvicinarmi a loro, lo faccio, senza esserci. 

Non so nemmeno io, perché lo faccio. Paura della morte, forse, ma la morte, in realtà, sarebbe meno sofferta.

La morte ti prende e ti porta via. Ed è un attimo.

Essere prigioniera di guerra è un incubo, che non finirà mai. 

L’essere disumano, quello che non ti vede come persona, trova ogni momento, un buon momento, per toglierti ogni dignità, ogni possibilità di sentirti ancora parte dell’umanità.

E’ un dolore sordo, non fisico, che mi toglie ogni capacità di pensiero. 

Un giorno ucciderò il biondino coi baffi. 

Lo penso ogni giorno. 

E so che non lo farò mai.

E’ lui che decide se devo mangiare, se posso bere, che mi permette un cambio di vesti. E’ lui che mi punta addosso il fucile, finge di sparare, poi ride e mi costringe a stargli vicino. 

La sua risata, risuona nella mia testa anche quando sono sola e, per un poco, mi sento al sicuro, lontana da quel branco senza anima.

Ho mantenuto la mia anima, nutrendola ogni giorno con piccole cose.

La luna è la mia compagna preferita, perché quando c’è la luna, loro dormono.

E io non scappo, non scappo. Non posso, non ce la faccio. E’ come se fossi nata prigioniera di guerra. E’ come se avessi dimenticato che sono stata una donna sorridente e libera. 

Loro sono un branco senza nome, senza faccia. Ognuno di loro ha un nome e ognuno di loro ha un cuore. Nell’essere in guerra è come se avessero perso ogni sentimento di pietà e di comprensione. A volte penso che, forse, non li possedevano nemmeno prima.

Il ragazzo con gli occhi scuri, ogni tanto, mi guarda con qualcosa di simile al dolore. Forse ha una sorella e io gliela ricordo. Non urla, non mi ha mai toccata, ogni tanto mi da un pezzo di pane in più. Ho capito che non gli piace far parte del branco di uomini. Ha un’anima e la usa.

Gli altri mi vedono come il nemico contro cui sfogare frustrazione e paura e rabbia. 

Sono guai per me, quando i soldati della mia bandiera li mettono in difficoltà. Al loro rientro sono botte e violenze.

Il campo si sposta continuamente. Se ho capito bene, loro sondano il territorio e riferiscono. Mi hanno presa durante un attacco, ho visto cadere sotto i loro colpi mio fratello piccolo e mia madre. Mio padre non so, mia sorella non so, io schiava da quel maledetto giorno. Non mi hanno voluto uccidere, sono il bottino di una guerra. Se un giorno avranno pietà mi toglieranno il respiro, e morirò anche nel corpo, perché il mio spirito è già morto.

Budicca