“… caramelle non ne vogliamo più…”

Nel dizionario della lingua italiana De Agostini, alla voce “donna” si legge:

“…femmina adulta dell’uomo / donna di casa, che ama la vita domestica, che sa governare una casa / moglie, donna amata, la mia donna / appellativo onorifico che si premette ai nomi di signore altolocate, per es. alla moglie del presidente della repubblica / signora, padrona / Nostra Donna, la Madonna / donna di servizio domestica … / donna cannone: donna grassissima, numero d’attrazione nelle fiere / figura del gioco delle carte: donna di picche…”.

Nel dizionario della lingua italiana Devoto – Oli, alla voce “donna” si legge: “individuo femminile della specie umana (opposto e complementare all’uomo) … / suscettibile di accezioni o allusioni diverse a seconda del significato o del tono generale del discorso; quindi, moglie (prender donna), amante o concubina (vivere con una donna), femmina compiacente (andare a donne), domestica (licenziare la donna; donna tuttofare) … “

Nel dizionario della lingua italiana Zanichelli, alla voce “donna” si legge: “femmina fisicamente adulta della specie umana: caratteri biologici, fisiologici, sessuali della donna: una donna alta, bassa, robusta, sottile, slanciata, ben fatta, una donna piccola, brutta…”

No, non stiamo consultando dizionari ottocenteschi, ma ciò che è attualmente in commercio nelle librerie nel 2024. 

Una identificazione della donna completamente dipendente dall’uomo, fortemente denigratoria e svilente.

Esiste, e questo è un fatto,  una narrativa tossica creata da un linguaggio sessista che a volte fa da anticamera alla violenza, mentre, a volte, la giustifica.

Partiamo dal quotidiano. Quanti luoghi comuni apparentemente innocui volti , comunque, a denigrare il mondo femminile. Proviamo a citarne alcuni:

Non fare la femminuccia, indirizzato ad un maschio perché si sa che le donne non riescono a fare mistero delle loro fragilità.

Hai il ciclo? Rivolto ad una donna che magari è giustamente incazzata per qualcosa di sacrosanto.

Sei uterina… che vuol dire che gli squilibri ormonali provocati dalla funzionalità dell’utero, condizionano necessariamente tutto il resto dei comportamenti.

Com’è che una ragazza carina come te è ancora single? Come se crearsi la propria vita di coppia dipendesse solo dal proprio aspetto.

Sui successi professionali di una donna…Tanto a voi basta aprire le gambe.

O ancora dietro ad ogni grande uomo c’è sempre una grande donna, a rappresentare anche in questo caso il fallimento di una donna non capace di fare un uomo.

Senza parlare di quei consessi nei quali all’uomo viene riservato il titolo di dottore e le donne vengono appellate con il loro nome di battesimo: il dottor xy  e la signora maria… si, magari anche con la m minuscola.

E a questo si accompagna una forma di galanteria, falsamente gentile ma comunque sessista:

Brava! Guidi come un uomo

E’ una donna con le palle!

Ragiona come un uomo.

Tutto ciò è narrativa tossica e la narrativa tossica nasce dall’egemonia culturale del mondo maschile nei confronti del mondo femminile. L’egemonia culturale si focalizza su due elementi principe: il dominio culturale e la direzione intellettuale al fine di imporre abitudini, credenze popolari con comportamenti quotidiani che vengono assorbiti al punto di diventare consuetudine. Tutto questo viene esercitato da un gruppo nei confronti di un altro. 

Gramsci sosteneva che le classi subalterne sono tali perché non hanno il potere di auto-rappresentarsi. Siamo convinti di questo? Siamo certi che oggi le donne non sappiano auto-rappresentarsi o, piuttosto, continuiamo a vivere in una, appunto, egemonia culturale, che continua ad imprimere cliché e consuetudine delle quali, spesso, noi stesse siamo inconsapevolmente complici oltre che vittime?

In questa logica e al contrario, se il parlare al femminile è tossico, il parlare al maschile si trasforma spesso in assolutorio. 

Pensiamo alla narrazione dei femminicidi e delle violenze: 

Sportivo, credente e ottimo lavoratore… l’assassino

era disoccupato, era stressato, era preoccupato per le risorse economiche della famiglia 

L’ha uccisa perchè l’amava troppo

Però anche lei… sempre l’ultima parola. Poi si lamenta se lui diventa aggressivo.

Mbé se tu non l’avessi provocato

E a sostegno di tutto questo, non facciamo mancare neanche il proliferare di particolari morbosi: 

La donna veniva ritrovata in un lago di sangue. Indossava solo reggiseno e perizoma di pizzo.

Aveva bevuto troppo.

Aveva chiesto un passaggio alla stazione termini alle dieci di sera.

Aveva accettato un passaggio alla stazione termini alle dieci di sera.

Non aveva pace, stava sempre in giro.

Se l’è cercata.

Insomma la ricerca disperata di una giustificazione all’orrore a cui stiamo assistendo ogni giorno.

In questo contesto arriviamo ad un nuovo 8 marzo, un 8 marzo afflitto da un  numero sempre più alto di femminicidi e affranto da una diseguaglianza ancora imperante. Aggravato da una quotidiana violenza nei confronti del genere femminile, una violenza che non sempre si identifica con lividi e sangue visibili, ma che si esprime nei commenti goliardici, nella prepotenza quotidiana, nell’alzare la voce troppo spesso e con troppa facilità da parte di tanti, troppi uomini, nei confronti delle donne solo perché sono tali.

Questo è un campanello d’allarme. Questa è già violenza. 

E forse è per questo che poi non sappiamo riconoscere le violenze vere, quelle che deturpano, quelle che uccidono. 

Sapete cos’è il dimatrismo? 

È l’immunità  ad uno o più veleni raggiunta attraverso una somministrazione quotidiana e costante dello stesso veleno. Solo che poi, quando il veleno diventa troppo, si muore. Noi donne beviamo piccole gocce di violenza ogni giorno, e quando pensiamo ormai di essere immuni, di poter avere la forza di riuscire a resistere, quella violenza ci uccide.

In questo scenario desolante, il Comune di Genova, in accordo con la Regione Liguria e la Confartigianato, per l’8 marzo 2024 decide di lanciare, in onore alle donne e per la loro “festa” tre nuovi gusti di gelato prevedendo la creazione di un gelato che associ alla figura della donna il concetto di “meraviglia”.

Ecco di nuovo il linguaggio tossico. Noi donne non vogliamo essere meravigliose. Vogliamo permetterci di essere naturalmente imperfette, naturali, non costruite. Vogliamo essere semplicemente noi stesse. E’ dal 1972 che vi diciamo che “caramelle non ne vogliamo più”. Non sostituitele con i gelati. Non ci caschiamo più.

Lucia Salfa