Il metodo Lucano

Forse abbiamo un po’ dimenticato la vicenda di Mimmo Lucano. Da sindaco di Riace era riuscito a compiere un piccolo miracolo. Lo sintetizzo con le sue parole: “A quel tempo lo Stato versava 35 euro al giorno a immigrato, ma solo a Riace con quei soldi abbiamo creato il frantoio, i laboratori artigiani, vetro, ricamo, carta, gli aquiloni di Hert, i vasi di Kabul… e un asilo nido plurietnico, una scuola, presidi medici, un ristorante, le borse-lavoro. E il paese diventò albergo diffuso per accogliere il turismo equo solidale…”.

Questo “miracolo” fu riconosciuto in tutto il mondo. Nel 2010 Lucano fu valutato al 3° posto tra i migliori sindaci del mondo nel Premio World Mayor. Nella motivazione Lucano è definito il Mahatma Ghandi dei nostri tempi. Nel 2015 ebbe il Premio per la Pace e i Diritti Umani a Berna. Nel 2016 fu 40° nella lista Fortune dei leader più influenti al mondo. Nel 2017 ebbe il Premio per la Pace Dresda. Nel 2022 gli fu conferita la cittadinanza onoraria dal comune di Marsiglia. Questo per parlare dei soli riconoscimenti internazionali, non cito per brevità quelli nazionali. Nel 2010 Wim Wenders fece un film ispirato alla sua vicenda, nel 2017 la Rai produsse una miniserie, che poi, guarda caso, non fu mandata in onda.

La possibilità di trasformare l’immigrazione clandestina da problema in risorsa, coniugando il rispetto dei diritti umani con la crescita economica, dovette suonare come un insulto a buona parte del  mondo politico italiano. Un insulto intollerabile.

Fatto sta che nel dicembre 2016 il comune di Riace riceve l’ispezione del prefetto di Reggio, che rileva gravi anomalie nella gestione del sistema ed innesca l’indagine della magistratura.

Potrebbe sembrare un controllo normale, doveroso, se non fosse che nel gennaio successivo una seconda ispezione prefettizia è di tutt’altro avviso e giunge a lodare il modello di integrazione creato da Lucano. Nel descriverlo, usa addirittura toni poetici. La scuola è definita come “un tripudio di razze dietro i banchi”; parla con  entusiasmo della mensa in cui il cuoco sahariano prepara le pizze, delle botteghe dove si lavora il legno, il vetro, la ceramica, la lana, delle “case vecchie e umili, ma pulite, ordinate, venate della mescolanza di uomini e donne di provenienza disparata, che portano in quelle case un piccolo tocco della terra natìa”.

Ancora mi chiedo come siano state possibili due relazioni così diverse a così breve distanza. Non è che bisogna fare i test psicoattitudinali ai funzionari delle prefetture?

Ma tant’è: il ministro Minniti blocca i soldi (i famosi 35 euro a migrante) e la procura della Repubblica accusa Lucano di truffa e concussione. 

Ma la seconda relazione? Quella che lodava il “modello Lucano”? O nessuno l’ha letta, oppure hanno stabilito che le relazioni favorevoli non valgono. 

La stessa ambivalenza emerge dal processo. Una condanna pesantissima in primo grado per reati molto gravi, che sembrano addirittura evaporare in appello. Ma una cosa si è capita: che tutto è stato innescato da un’ispezione del prefetto. 

Capito come? Ti mando un’ispezione che solleva dubbi di reato, e tu sei fottuto, anche se poi la smentisco io stesso. La tua carriera è finita, la tua opera naufraga nella melma. In barba ai riconoscimenti internazionali, alle lodi della stampa estera, al film di Wim Wenders. 

Questa vicenda non poteva non venirmi in mente oggi, a proposito di quella di Bari e del sindaco Decaro. La storia si ripete ma, come sempre, con le dovute differenze.

Infatti, questa volta parte la magistratura per prima, indagando su una vicenda di voto di scambio e di rapporti con la criminalità organizzata: parte su elementi così solidi da poter effettuare oltre 130 arresti. 

Gli inquirenti chiariscono subito che il sindaco non c’entra, anzi è un baluardo contro la mafia. Gli indagati, poi, non erano nemmeno della sua maggioranza, erano stati eletti con l’opposizione.

Ma al ministro dell’Interno questo non interessa: sollecitato da alcuni parlamentari e sottosegretari pugliesi, istituisce una commissione per verificare se il comune debba essere sciolto per infiltrazioni mafiose. 

Anche qui il ministro dimentica un particolare: che proprio il suo ministero aveva dato una scorta al sindaco, perché si opponeva alla mafia così efficacemente da essere minacciato di morte. 

Capiamoci bene: il ministero già sapeva, e la magistratura lo ha confermato, che il sindaco non è colluso con la mafia. L’opposizione – che sta dalla parte politica del governo – quella sì, è collusa. Ma sono particolari insignificanti.

Il governo sostiene che l’accesso al comune sia un atto dovuto in considerazione dell’indagine penale, ma dimentica che questa non riguarda né il sindaco né la giunta. Lo fa, inoltre, con una sollecitudine senza precedenti. Ma poi, ammesso che gli ispettori siano velocissimi, è difficile che concludano prima che il consiglio comunale sia sciolto, fisiologicamente, per la scadenza elettorale. Così il governo potrà eventualmente sciogliere un consiglio già decaduto: quando si dice un provvedimento superfluo e inutile. O forse utile ad altri fini.

Per fortuna Bari è una città grande, a differenza di Riace. E, per sua fortuna, Decaro è spalleggiato da un ampio schieramento politico, a differenza di Lucano. La gente è andata in piazza a migliaia per difendere il sindaco, per mostrare che a queste manovre politico-poliziesche non ci crede nessuno.

Le vicende di Riace e di Bari hanno in comune un aspetto fondamentale. Quando un sindaco fa bene il suo lavoro, anziché essere additato come esempio da seguire, gli si manda un’ispezione affinché scopra (magari in modo un po’ forzato) se ha fatto degli errori, o comunque per sporcarne l’immagine. Tanto per chiarire che a troppa parte della politica non interessa il bene del Paese, ma quello di parte.

Ora non ci resta che aspettare per vedere come andrà avanti il braccio di ferro sulla vicenda. Ma una cosa l’abbiamo capita: queste ispezioni non sono affidabili. E le istituzioni dovrebbero essere al servizio dei cittadini, non di una parte politica. 

In conclusione, temo che a “questi qua” non interessino i cittadini, ma i risultati elettorali.

Cesare Pirozzi          

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