L’idiozia delle paillettes

Il super ego distrugge l’anima con il nostro consenso. Ognuno è se stesso nei panni di un altro. Nessuno è mai se stesso se non nella idiozia di una vita banale vissuta senza amore, per se stesso e per il prossimo. Tutto è uniformato alla vita irreale della pubblicità che annulla la psiche, le emozioni, i sentimenti.

“Chi è io?” La commedia divertente, metafisica, ironica e contemporanea, in scena al teatro Ambra Jovinelli di Roma, fino al 14 aprile, scritta e diretta da Angelo Longoni, con Francesco Pannofino, Emanuela Rossi, Eleonora Ivone e Andrea Pannofino, mette in mostra la banalità del vivere quotidiano.

Una commedia psicologica, diretta magistralmente da Angelo Longoni con un protagonista oltre i canoni della recitazione: Francesco Pannofino. Un mattatore in grado di trainare attrici bravissime, facendole esprimere con naturalezza in ogni gesto, sia esso psicologico, psicosomatico, psichedelico, o psicotropo. Un palcoscenico quasi da manicomio, vissuto in tutta la sua interezza, con scenografie e musiche di livello alto, riescono a trasmettere, senza nulla tralasciare, alla platea, il tumulto insonne delle paure e delle debolezze di una umanità alla deriva.

Addio, non è solo una parola, ma è soprattutto un agire contro di noi che ci allontaniamo sempre di più da noi stessi. Un rifiutare il tempo reale per vivere di miraggi luccicanti una vita banalmente irreale e superficiale, senza etica, senza valori. Una vita da perfetti idioti.

Pannofino-Mayer cerca, invano di richiamare alla vita attraverso i sogni, che mischiandosi possono riportarci dentro l’anima delle cose che avevamo cancellato.

Un flusso recitativo ben ritmato, una mimica accattivante, una gestualità attraente, incollano il pubblico alle battute, ognuna con un significato interiore profondo, in grado di suscitare scompenso e scontento, mettendo a nudo ciò che realmente è ognuno di noi. Un teatro mentale continuo e inarrestabile, fuori dalle quinte, fuori dal palcoscenico, ma incardinato dentro le nostre quotidiane schiavitù. Tutto può succedere perché tutto è già successo e tutto è uno e uno è tutto. Tutte le onde sono diverse, come è diverso il volo dei gabbiani o il bosco che scorrono alle spalle dei protagonisti in seduta di analisi. Ciò che si interseca sono le superficiali fragilità, frutto di un vuoto interiore non colmabile da nessuna terapia, se non quella di riscoprire che l’amore può vincere la morte emotiva e psichica. 

Ed è sicuramente difficile stabilire cosa sia bene e male, cosa sia giusto o sbagliato, vero o falso, ma per il regista Longoni risulta abbastanza chiaro: quando una persona affoga, ci si tuffa per salvarlo, anche se abbiamo appena mangiato rischiando di morire noi stessi. 

Il fraseggio si libera, Pannofino fluisce da un periodo all’altro, l’immaginazione e il ricordo si confondono trovando nicchie di presente, per poi prendere il sopravvento e sedurre l’attenzione dello spettatore in momenti diversi, in tempi altri, che attraversano i pensieri e le situazioni. I pensieri non gli appartengono ma vagano e trovano espressione nelle parole, ognuna con un significato profondo nel rivelare la idiozia delle paillettes.

Claudio Caldarelli