L’eredità di Giulia. Investire nell’istruzione delle giovani generazioni per creare vere opportunità con effettiva parità

Se è vero che l’educazione è il presupposto della libertà e dello sviluppo integrale, è altrettanto vero che questa è da promuovere, in modo particolare per le donne che restano tra le categorie più penalizzate. Ancora oggi sono circa 130 milioni le ragazze nel mondo che non vanno a scuola. 

Un tema, quello delle donne, caro anche a Papa Francesco che dice: «L’educazione è la strada maestra da un lato per fornire alle donne le competenze e le conoscenze necessarie per affrontare le nuove sfide del mondo del lavoro, e dall’altro per facilitare il cambiamento della cultura patriarcale, ancora prevalente». Tema tornato di grande attualità nelle ultime settimane, che con la laurea conferita il 2 febbraio scorso alla memoria di Giulia Cecchettin ci invita a guardare in una prospettiva più ampia e in uno scenario più “illuminato”.

Per favorire uno sviluppo sostenibile e integrale nel lungo termine è strategico e decisivo investire nell’istruzione delle giovani generazioni.

Secondo l’Agenda Unesco 2030 per lo Sviluppo Sostenibile l’istruzione è essenziale per il successo di tutti i suoi 17 obiettivi ed è anche la leva per ridurre le disuguaglianze ed elaborare nuovi modelli di sviluppo. Per colmare i divari economico-sociali, oltre all’attuazione di politiche innovative in materia fiscale e investimenti pubblici, è necessario garantire a tutti l’accesso all’istruzione. 

La distribuzione disuguale della ricchezza continua ad essere impressionante: i dati del Global Wealth Report 2023 indicano che l’1% della popolazione detiene il 44,5% della ricchezza globale. 

Le diseguaglianze di reddito sono chiaramente associate a opportunità diverse nell’accesso all’istruzione che fa la differenza nel generare benefici materiali e sociali. Pochi sanno ad esempio che garantendo a tutti i bambini l’accesso all’istruzione, avremmo un notevole aumento del Pil pro capite nei Paesi più poveri del mondo. In poche parole, l’istruzione scolastica promuove la crescita, riduce la povertà e attenua le disuguaglianze, anche di genere. 

Per non parlare dell’università che costituisce un contesto in cui è particolarmente auspicabile l’attuazione di politiche a favore delle donne per contrastare i pregiudizi culturali, perché ricordiamoci che a livello globale, sebbene le donne siano la maggioranza tra laureati e studenti post-laurea, la loro presenza diminuisce significativamente tra professori ordinari e dirigenti universitari. 

Evidenze simili emergono relativamente alle progressioni di carriera per dipendenti, amministratori delegati e presidenti di società private e pubbliche. 

Altro aspetto critico riguarda lo stesso tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro in cui, ancora una volta l’Italia si rileva come il Paese con un livello particolarmente basso rispetto al confronto europeo.

Senza ovviamente voler dimenticare il gap salariale tra uomini e donne che nel nostro Paese si attesta in media intorno al 10% ossia un valore addirittura al di sotto di quello registrato nel lontano 2012.

Temi questi rilevanti non nella prospettiva di occupare spazi, ma per avviare processi che con un nuovo stile di leadership – quello appunto femminile – porterebbero con sé delle ricadute sulle stesse scelte delle organizzazioni.

Un ambito di particolare attenzione è quello dell’educazione nelle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Le donne, nonostante il trend di crescita degli ultimi anni, sono ancora solo il 15% delle laureate totali (il 33% tra gli uomini). La situazione non è migliore se si guarda nello specifico all’educazione finanziaria. Il nostro Paese si attesta in fondo alle classifiche Ocse sull’alfabetizzazione finanziaria in generale e, se si considera il divario di genere, le donne sono ulteriormente sfavorite nelle conoscenze relative al funzionamento di mercati e investimenti. 

Per avvicinare le bambine alla gestione del denaro sono prioritari interventi sui sistemi educativi per aumentare la consapevolezza nelle loro capacità, cercando di contrastare quella discriminazione di genere che le porta a credere che siano meno adatte a confrontarsi con discipline quantitative, economiche e finanziare. 

È innegabile che le donne possiedano le competenze, le conoscenze e l’esperienza necessarie per assumere ruoli di leadership, contribuendo in modo cruciale a una gestione trasformativa. 

Forse abbiamo dimenticato, o meglio forse chi siede nei posti di comando per pilotare il mondo, ha dimenticato che le discriminazioni soffocano opportunità, sprecano il talento umano necessario per il progresso economico e accentuano le tensioni sociali e le disuguaglianze. 

La lotta alla discriminazione è parte essenziale della promozione del lavoro dignitoso in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità umana.

Ma forse coloro che hanno “dimenticato” poco sanno del significato di queste parole. 

Stefania Lastoria

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