Sacchi di sabbia vicino alla finestra: del cervello

Ogni 31 dicembre siamo soliti stringere un filo attorno a un budello pieno di polpa macinata, per separarlo da quello successivo che ci apprestiamo a riempire. È la divisione del tempo in salsicce. Il nostro cervello le produce ormai automaticamente, con ogni genere di attrezzo casalingo, da macelleria di quartiere o industriale. Forse per questo a una buona salsiccia è difficile rinunciare, e basta andare negli scomparti vegetariani e vegani dei supermercati o dei negozi specializzati per vederne di ben confezionate anche lì. S’intende, non con polpa di carne, ma parliamo pur sempre di salsicce con relativo rifesso mentale-temporale. D’altronde le salsicce, come i calendari, sono di una praticità umana innegabile: si possono appendere o sospendere con un chiodo, un filo a una parete di casa, a una trave in cantina e staccarne i pezzi al bisogno.

Praticità umana, però, non significa esistenziale, ossia che ha valore per la totalità di tutto ciò che esiste. Totalità di cui l’umano è parte non preponderante, sebbene inseparabile. Ossia a imporre come verità un mero credo o sua mera convenzione mentale non può essere una briciola infinitesimale della nostra galassia, che è sua volta briciola nella scala universale composta da oltre cento miliardi di galassie. Anzi, dovrebbe essere il contrario. D’altronde – per restare qui sulla Terra – già lo storico Eric Hobsbawm ci ha insegnato a staccare il tempo in modo diverso. Il suo libro Il secolo breve, umanamente datato 1994, infatti, ci dice che non è possibile suddividere il XX secolo, ossia tutto il ’900, in cento salsicce temporali. Lo chiama breve, perché quel secolo per lui è costituito da un unico blocco che va dal 1914 al 1991, ossia dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale alla caduta dell’Unione Sovietica. Solo 77, dunque, delle convenzionali ma non più valide – perché storicamente incoerenti – unità di tempo-salsiccia.

Nella canzone L’anno che verrà, del 1979, Lucio Dalla intona: “E c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra”. Ognuno di noi a fine 2023 ce li ha messi, e non li toglie certamente con il passaggio all’anno-salsiccia numero 2024 d. C. L’era storica denominata dal direttore di Limes, Lucio Caracciolo Guerra Grande, infatti, è in pieno vorticoso e inarrestabile sviluppo. Neanche all’idilliaca ironia della seconda parte della canzone di Dalla sembra più opportuno appellarsi, magari solo scaramanticamente: “Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno/ Ogni Cristo scenderà dalla croce/ Anche gli uccelli faranno ritorno”. E nemmeno alla frase finale di Walter Benjamin nel saggio sulle Affinità elettive, di Goethe: “Solo per chi non ha speranza ci è data la speranza”. Ossia, la speranza è data a noi (ci è data), non per noi stessi, ma per chi anche la speranza è stata tolta. Non è più possibile, però, persino questo: sperare per chi è rimasto solo con la propria disperazione. I sacchi di sabbia, infatti, riempiono ormai le finestre e i davanzali del cervello – dal vertice di comando alla base acriticamente soggetta – del sistema di crudeltà amministrativa mondiale. I sacchi non sono conseguenza della guerra, ma sono la sua premessa logica e ontologica. Carri armati, missili, droni, tecno-ordigni informatici sono proiezioni, deiezioni armate dei bastioni difensivi occidentali contro la minaccia proveniente dalle arretrate e dittatoriali barbarie esterne. Ma queste non sono altro che la concrezione materiale della nostra fede meramente illusoria sull’imprevedibilità del nulla, quale sorgente e foce del divenire, ossia di quel passato, presente e futuro processati nella nostra macelleria del tempo.

C’è chi invoca la messa al bando di qualsiasi tipo di arma, come fosse possibile abolire il sintomo senza avere destituito la causa originaria della follia innanzitutto – pre-bellica. E questa è costituita proprio dalla sabbia in sacchi posti su davanzale del nostro cervello. La follia di dominare, sottomettere l’essere, l’esserci, macinandoli, insaccandoli insieme al nulla dentro budelli a mo’ di polpa fatta di minaccia e salsiccia.

Riccardo Tavani