Nuove espressioni poetiche

“Per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone italiana…le canzoni dei musicisti del Folkstudio giovani hanno radici nella ricca tradizione della musica folk italiana…dal suo debutto negli anni 60/70 hanno ripetutamente reinventato le canzoni e la musica”. 

Questa è una parte della motivazione (aggiustata da me) che l’Accademia delle Scienze di Stoccolma ha tributato a Bob Dylan nell’assegnargli il Nobel per la Letteratura.

Una motivazione che calza a pennello all’instancabile lavoro di Luigi Grechi, organizzatore delle serate Folkstudio giovani, all’Asino che vola a Roma.

Dentro la grande tradizione della musica folk c’è tutta l’intensità poetico musicale dei cantautori e cantautrici, liberi dal preconcetto di una musica standardizzata. 

Ne è la prova Giorgio Mazzone, chiamato da Luigi Grechi ad aprire la serata, un vero “guitar hero” (eroe della chitarra) che quando suona fa innamorare, come se stesse cantando, apre con Bella ciao: scrivere solo strumentale è riduttivo. Mazzone un solista del virtuosismo a “venti dita” apre le porte dell’anima e ci infila dentro la sua maestria. Poi prosegue con l’ultima lettera di Tex a Kit Karson “Vecchio Satanasso, puoi giocarti i coglioni che non vincono i più buoni…il cervello te lo portano all’ammasso, non mi piego e non mi abbasso”. Ci regala la libertà di essere ciò che quotidianamente non riusciamo ad essere e, ci riesce con le sue fantastiche “venti dita” che carezzano una infinità di corde, che in realtà sono solo sei.

Poi sale sul palco Massaroni Pianoforte, emozioni disperate, intime, riflessive, sulle note evolute di Mia Martini, non indulgente, erotico e dissacrante. “Quei bastardi dei cantautori li odio perché mi hanno reso clandestino….” e ancora “Ogni donna ha il suo profumo, ogni uomo il suo odore…”. La voce di Massironi taglia in due la platea, rompe gli schemi dell’ascolto, ti denuda strappandoti di dosso la comfort zone, per poi lasciarti cadere sul selciato. Cacciata da Spotifity perché oscena o troppo erotica la copertina del suo Cd, canta Jennifer e poi Maddalena, che dedica a Luigi Grechi, racconta le follie randagie di passaggio, per dire “ciò che canto mi appartiene”. Così ci narra la storia di Carlo e di tutti i Carlo ammassati nei condomini. “Matto mondo che vi voglio raccontare, si stacca il cervello solo quando si ha l’orgasmo. Matto mondo non esisti quando godo…”. In un matto mondo dove nessuno gode più.

Un frammento di romanticismo con Lucio Bardi, che dai tempi dei tempi, canta l’amore con la dolcezza di una voce impropria ma accogliente. Le parole vengono dal mare profondo, scritte da sua sorella, Donatella Bardi, a cui facciamo un inchino per la poesia.

Per ultimo entra Leo Folgori, accompagnato da cinque musicisti d’eccezione “ Ogni giorno consumo la vita che ci porta verso il tramonto, inevitabilmente tramonterò…” un inizio che è un buongiorno a tutto tondo. Si percepisce che le parole hanno un senso, con la musica appropriata evolvono il senso e diventano parte del sentire.

Subito dopo una grande sorpresa, sale sul palco Luca Manoni, per interpretare con Leo Folgori “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli. Ora capite perché il Nobel a Dylan è il Nobel ai musicisti folk del Folkstudio giovani. Una canzone dal valore letterario oltre ogni confine prestabilito. Manoni-Folgori escono fuori dai concetti della musica ed attirano il pubblico dentro una via dove il tormento si fonde con l’emozione e con i desideri dell’essere umano. Questa è la vera rivoluzione del folk, invertire la concezione banale del pensiero per tramutarla in agire quotidiano con la musica e il canto.

Così Leo Folgori diffonde il suo messaggio con il mezzo più efficace, la sua voce, la sua chitarra, la sua armonica, il suo fischio alla Morricone. Riesce a commuovere, a far riflettere, a far gioire la platea che si alza in piedi, fischia, batte le mani, segue il ritmo. Leo Folgori è originale, non simile a nessuno, è lui la sua musica, dentro cui ci mette ciò che sente: il senso della condizione umana e l’incapacità dell’uomo di ripudiare la guerra in maniera definitiva e totale, tanto da poter cantare che la guerra è bella e sempre quella. Leo Folgori non è solo poesia o canzoni, ma è l’intensità con la quale riesce ad armonizzare linguaggi diversi tra loro, dentro il solco del folk. Ci fa venire voglia di ascoltarlo e riascoltarlo, perché ogni ascolto ci dice cose nuove, in modo poetico e allusivo, donando la sua intensa musicalità.

Chiudo questo lungo articolo con un inchino alla dolce Mary Jo accompagnata magistralmente da Cisco, che ci regalano delle sensazioni bellissime, ci fanno commuovere, piangere, ma anche sognare…e quel finale con Luigi Grechi ci ricorda che siamo tutti figli del Folksudio di via Garibaldi 58 a Trastevere.

Claudio Caldarelli