Antropocene: odio, guerra, distruzione della Terra

La parola Antropocene, ossia l’era geologica in cui viviamo, deriva dal greco antico Antropos, uomo, e kainos, recente. Indica la pesante impronta che stanno lasciando le attività umane in termini di strutturali modificazioni ambientali e climatiche sul nostro pianeta. Il termine è stato adottato dal Nobel per la chimica atmosferica Paul J. Crutzen, il quale, in accordo con altri scienziati, pone come suo inizio simbolico il 1945. Fino ad allora – e da circa 11.700 anni prima – era in vigore l’era detta Olocene, da Holos, tutto, e kainos, recente.

La guerra è senz’altro la massima attività simbolo del lavoro umano. Essa, infatti, condensa in sé il vertice della volontà di potenza e trasformazione ai fini del dominio dell’uomo su ogni aspetto della realtà, ossia sulla totalità dell’esistenza. Su qualsiasi essere, nella sua singolarità e universalità. Sull’essere stesso in quanto tale. E tale dominio non può non comprendere, e anzi acuire vertiginosamente, pure quello dell’uomo sull’uomo. Anche se lo status di uomo, non viene riconosciuto ai sottomessi, schiacciati, cancellati. Non a caso nei campi di sterminio nazisti era vietato chiamare con definizioni umane persino i cadaveri degli ebrei, zingari, gay, dissidenti passati per le camere a gas, i forni e i camini. Dovevano essere chiamati pupazzi, o pezzi, proprio come in una catena di montaggio industriale. E la storia – come vediamo in questi giorni – si ripete, seppur sotto mutate sembianze. Non ha alcuna importanza chi storicamente si trovi nella posizione di vittima e in quella di carnefice. Conta la potenza di dominio e negazione messa in atto nel lavoro della guerra e nella guerra del lavoro. Guerra e lavoro contro l’uomo e la Terra.  

I processi di lavoro nella storia umana trovano nel capitalismo l’apice della loro evoluzione tecnica. Il profitto economico, quale nocciolo intrinseco senza il quale il capitalismo non potrebbe neanche esitere, coincide anche con la suprema, intoccabile potenza cui tutto il resto va subordinato, sottomesso, schiacciato. Le schiere di morti sul lavoro ogni anno sono i militi ignoti, ignorati, quotidianamente caduti sulle trincee produttive. E la guerra rappresenta anche la configurazione economico-finanziaria perfetta per il profitto capitalistico. Investimenti di massicce quantità di merci ad alta concentrazione tecno-industriale, che non devono neanche competere sui mercati, perché le ordina, le compra e le paga di rettamente lo Stato. Ossia, questi obbliga i suoi cittadini a massimizzare i profitti capitalistici, acquistando queste armi, di cui saranno poi vittime dirette e indirette.

Secondo i dati del Kyoto Club, le emissioni di gas climalteranti dell’apparato bellico industriale mondiale, in stato non di guerra, ma di pace, corrispondono al 5,5% di quelle del totale planetario. Pace, infatti, significa pur sempre para bellum, prepara la guerra, ossia incessante produzione di apparati e ordigni di distruzione, esercitazioni, manovre, spostamenti, smaltimenti. Una percentuale che è come se fosse il quarto stato al mondo per inquinamento dopo Usa, Cina e India. La guerra della Russia contro l’Ucraina ha comportato fino a oggi l’emissione di 120 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2), cifra corrispondente ai tre quarti delle emanazioni italiane in tutti settori produttivi sommati insieme. Ma alle quantità prima e durante la guerra vanno aggiunte le emissioni per gli ingenti lavori postbellici. Sempre in Ucraina si stimano a oggi altri 50 milioni di emissioni di CO2 per la ricostruzione. In 70 giorni di guerra a Gaza, solo l’esercito israeliano ha emanato l’equivalente di 150.000 tonnellate di carbone bruciato. La Corte dell’Aia dovrebbe giudicare se, insieme al genocidio in atto di un popolo, non sia in corso anche uno spaventoso terricidio, ossia uno stupro, sventramento, sistematico e irreversibile, della nostra comune Grande Madre Gea.

Il filosofo e attivista ambientalista Lorenzo Marsili ha proposto l’istituzione di una Green Cross, di una Croce Verde Mondiale per i soccorsi ecologici, simile alla Croce Rossa Internazionale e alla Mezza Luna Rossa per quelli umani. Abbiamo assistito, però, in Antropocene a un livello d’odio bellico-razziale e ambientale tale che l’espressione “È come sparare sulla Croce Rossa”, non indica più alcuna ferocia assurda, ma una banale normalità quotidiana, anzi oraria, al minuto. Figuriamoci poi se la croce fosse verde.

 

Riccardo Tavani

 

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