Darya, la rifugiata afghana che ha disegnato le #donneperlapace

Da quando i talebani sono entrati a Kabul, il mondo è finito anche per Darya. Sono passati tre anni da quel giorno di piena estate, col caos per le strade e gli spari. «All’inizio non pensavamo di dover scappare» racconta dalla stanza piena di disegni appesi e di colori sparsi, in un punto dimenticato del Pakistan, dove vive da rifugiata insieme alla sua famiglia. 

E’ lei che ha disegnato la copertina di Avvenire dell’8 marzo e il logo della campagna #donneperlapace.

Darya e la sua famiglia, appartengono ai Kizillbash, una minoranza turco sciita. Hanno subito iniziato a nascondersi e a praticare la loro religione segretamente. Ma presto il problema è diventato la sopravvivenza: non c’era più lavoro. Oltre a lei, che non poteva più studiare, è toccato anche al padre e ai fratelli di dover restare a casa. A ottobre 2022 la scelta di lasciare l’Afghanistan, in cerca di futuro. Una parola difficile, per Darya, da sempre. 

Nel suo Paese non le fu mai data la possibilità di studiare arte o disegno, nemmeno prima che i talebani tornassero al potere. Così da piccola dipingeva di nascosto, celando la sua spiccata creatività che non poteva venir fuori, resa pubblica, mostrata. 

Le è sempre piaciuto creare cose, adorava i colori, toccarli, mescolarli fra loro e questo la faceva sentire libera.

Ed è alla scuola della libertà, anche grafica che Darya è cresciuta. 

Eppure non ha mai conosciuto le regole del disegno, non è mai entrata in un museo per ammirare i quadri dei grandi artisti del passato dal vivo.

Ci racconta che lei si è salvata dipingendo. I primi tempi, quando non poteva più uscire, o incontrare le amiche e persino il fidanzato, l’unico modo che aveva per non piangere, per non soffocare, era disegnare.

La sua fantasia spaziava tra donne felici nei campi pieni di colori, con in mano aquiloni, fra i capelli libri, navi, mappe di Paesi lontani. 

Era la realtà che desiderava e che poteva vivere solo sognandola e dipingendola.

Arrivata in Pakistan ha subito pensato alla necessità di condividere quel suo desiderio di espressione, che per lei aveva significato la salvezza. Così ha pensato ad una scuola online, un ciclo di lezioni incentrate sull’arte come terapia e come strumento di parola, di resistenza ma anche di lotta.

L’annuncio viaggia sui social network e nello spazio di pochi giorni all’account di Darya arrivano oltre 400 richieste, studentesse da ogni parte dell’Afghanistan, ma anche rifugiate in Pakistan come lei che le chiedevano di poter partecipare e collegarsi, di far parte del gruppo, di seguire il suo percorso.

La scuola di Darya ha mosso i suoi primi passi con una prima classe da venti ragazze, poi un’altra e un’altra ancora, quelle a cui tramite alcuni amici e il fidanzato rimasto in Afghanistan riescono a far arrivare fogli di carta, pastelli e tempere. 

Le ore di lezione sono un momento di sfogo, spesso di commozione e di pianto: le allieve di Darya dipingono i “vasi delle emozioni”, condividono schizzi e vignette. Ed è a loro, alle ragazze afghane dimenticate da tutti, che Darya ha deciso con Avvenire di destinare il compenso per le sue illustrazioni. 

Così racconta: «Quando mi è stato chiesto di disegnare le donne di pace le ho immaginate subito piene di sogni: per questo ho disegnato la loro chioma fluente, costellata di colombe e rose rosse, il simbolo della gentilezza e della perfezione per eccellenza. Per il logo invece ho scelto l’azzurro, che è il colore del mare, dell’infinito e della libertà a cui noi afghane non vogliamo rinunciare».

Darya parteciperà, insieme a illustratori del calibro di Zerocalcare e Vauro, anche alla campagna #iosonoarenadipace, in vista dell’incontro di Verona del 18 maggio con il Papa.

Quando ha visto il suo disegno sulla copertina di Avvenire, si è sciolta in lacrime: «Quei sogni che ho dipinto, che sono anche i miei sogni, si sono realizzati. Significa che dobbiamo continuare a sognare, ancora più in grande, sempre più in grande».

Stefania Lastoria

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