L’attivista Godeliève Mukasarasi e come ha ricucito le ferite del genocidio in Ruanda

Sono passati trent’anni da quei terribili giorni dell’aprile del 1994, quando nel Paese iniziò la pulizia etnica. E poi il coraggio di rispondere con la pace, facendo sedere attorno a un tavolo vittime e carnefici.

Quei ricordi sono impressi nella sua memoria come se fosse ieri. 

«Improvvisamente erano diventati tutti malvagi», ricorda Godeliève Mukasarasi, sopravvissuta per miracolo allo scontro fratricida tra hutu e tutsi e al genocidio che spazzò via dal Ruanda oltre 800mila persone, in maggioranza della seconda etnia. Lei ha perso gran parte della famiglia, specialmente da parte del marito, una ventina di persone affogate in un fiume poco distante dalla loro casa. Ma è stata risparmiata, anche se proprio suo marito e la figlia sono stati assassinati due anni dopo, vittime di una spirale di violenze e vendette che non si è fermata dopo quei cento giorni d’inferno. Anche Godeliève, però, che oggi ha 65 anni, da allora non si è più fermata. 

Una donna battagliera che ha messo in campo energie e competenze, determinazione e una straordinaria capacità di relazione per ricucire i fili di quel tessuto sociale così barbaramente lacerato.

Già nel dicembre del 1994 ha fondato l’associazione Solidarietà per la promozione delle vedove e degli orfani in vista dell’impiego e dell’autopromozione (Sevota), che ha assistito e accompagnato più di 70mila persone. Nel 2018 il Dipartimento di Stato americano ha riconosciuto Godeliève Mukasarasi con l’International Women of Courage Award e nel marzo del 2022 è stata inserita tra i “Giusti” della Shoah e degli altri genocidi al Giardino del Monte Stella di Milano dall’Associazione Gariwo, la foresta dei Giusti. E ora lei stessa si sta impegnando in prima persona perché un analogo Giardino venga inaugurato in Ruanda in occasione del trentennale del genocidio.

Una donna che si è rimessa in gioco da subito, pregando ha trovato la forza e il coraggio per rispondere all’odio e alla sete di vendetta con un amore incondizionato.

Pur non avendo risorse, i primi piccoli aiuti sono arrivati dalla sua parrocchia e da un missionario spagnolo, oltre che dal villaggio e da tanta gente semplice che pur avendo meno di nulla, offriva un po’ di cibo, qualche vestito, il ricavato di una colletta.

Godeliève Mukasarasi si occupa di vedove, di vittime di stupro e di orfani perché per lei, che è assistente sociale di formazione e professione è naturale rivolgersi alle persone più vulnerabili.

Grazie alle sue capacità è stato creato uno spazio protetto in cui le donne in difficoltà, gli ultimi in generale, hanno avuto la possibilità di parlare e confrontarsi, ma anche di aiutarsi reciprocamente a rielaborare il trauma e ad andare avanti.

Ci sono gruppi in cui fare formazione, attività di mutuo aiuto, sono nate piccole attività economiche, dall’agricoltura all’artigianato affinché le donne, soprattutto coloro che hanno subito violenza, possano essere autonome e ritrovare a poco a poco la dignità e la fiducia in se stesse, tutto ciò che è stato loro strappato, usurpato nel peggiore dei modi. 

Sin dall’8 marzo 1995 sono stati organizzati eventi e iniziative che mettevano al centro il tema della pace e dei diritti, della dignità di ogni persona e della pacificazione delle comunità. 

E ancora una volta le donne hanno dimostrato di avere una forza grandissima e anche una capacità molto concreta di rimboccarsi le maniche e di guardare avanti per loro e per i loro figli, generando vita in molti modi. Il loro contributo alla pacificazione è stato ed è essenziale per il popolo, che continua a portare addosso ferite che faticano a rimarginarsi, e anche per il Paese affinché tutti possano sentirsi innanzitutto ruandesi e non divisi lungo linee etniche.

Lavorare per la pace e la riconciliazione è stata una scelta personale e collettiva che necessariamente doveva coinvolgere molti soggetti: dalle istituzioni alle chiese, dalla società civile alle autorità tradizionali in quanto l’obiettivo prioritario è che tutti i ruandesi si sentano davvero fratelli e per questo occorre essere capaci di perdonare.

E cosa è il perdono se non avere la capacità di donare di più, vivere nell’amore incondizionato, evitare il male per fare il bene e principalmente imparare a perdonare se stessi per tornare a vivere in pace con gli altri?

Stefania Lastoria

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