Mahsa Amini, la giovane morta per un capello fuori posto fa esplodere la rabbia del popolo iraniano

Una notizia che ha sconvolto tutti, che ci fa chiedere in che mondo viviamo, che fa interrogare i più sensibili su come facciamo noi occidentali a leggere, vedere, sentire le voci e le urla di protesta di popoli annientati, schiacciati, defraudati dei propri elementari diritti umani, annullati psicologicamente. Donne umiliate, costrette ad indossare un velo, a nascondere la propria femminilità, ad avere solo il ruolo di mogli e madri, di procreare e nascondersi, stare a casa, non studiare, sottostare ai propri padri o mariti, non poter uscire da sole se non accompagnate da un uomo della famiglia.

Resistere pur senza esistere.

Mahsa Amini era una giovane iraniana di 22 anni. Il 12 settembre, mentre era in visita a Teheran con la sua famiglia, una pattuglia della polizia morale l’ha fermata perché sotto il suo velo era uscita una ciocca di capelli. Ebbene Mahsa è stata arrestata e dopo tre giorni è morta in circostanze sospette.

E la collera dei giovani iraniani è esplosa con ferocia mentre diverse donne hanno deciso di “sfidare” la sharia iraniana circolando per le strade del Paese senza velo e bruciandolo, tagliandosi i capelli per strada.

Una ribellione che mai si era vista prima.

Ormai da quarant’anni, dopo la rivoluzione islamica del 1979, i mullah al potere decidono come debbano vestirsi le donne, cosa possano mostrare e cosa debbano nascondere. In questi quarant’anni ci sono stati alti e bassi, tra momenti di tolleranza e momenti di conservatorismo inquisitore.

Generazione dopo generazione, le donne iraniane hanno cercato di liberarsi di queste catene ma oggi i giovani esercitano rispetto a ieri, una pressione particolarmente forte grazie all’uso di Internet e l’aiuto dei social network su cui sfidano l’ordine morale. Una generazione poco incline ad essere domata perché vedono con i propri occhi che il “vero mondo” è altro da ciò che vivono sulla loro pelle.

Il 17 settembre i funerali della ragazza, nella sua città natale del Kurdistan iraniano, sono sfociati in scontri con la polizia, con un morto e decine di feriti. Le proteste e la repressione si sono estese poi al resto del paese. Il 19 settembre, a Teheran, gli studenti di tre università sono scesi in piazza.

Sui social network, affinché tutto il mondo sapesse e vedesse, le ragazze venivano riprese in strada mentre si tagliavano i capelli davanti alle telecamere in segno di solidarietà con Mahsa. Alcune sono arrivate a bruciare i propri capelli.

La morte di Mahsa Amini è stata il detonatore di una frustrazione culturale, sociale e politica ormai non più sostenibile dal popolo iraniano.

Una ciocca di capelli ha scoperchiato il vaso di Pandora.

Mahsa non era la prima e non sarebbe stata l’ultima di tanta gratuita ferocia ed è stata proprio questa consapevolezza, insieme al peso di anni fatti di leggi sempre più repressive e di abusi da parte della polizia morale, ad innescare le proteste.

Da quel giorno ci sono manifestazioni e scontri, sempre più violenti con la polizia, che usa bastoni, lacrimogeni, proiettili di gomma e cannoni ad acqua per disperdere chi protesta.

A Bukan una bambina di dieci anni è stata ferita e le immagini sono circolate sui social bucando la censura iraniana.

E sembra che la massa inferocita sia ora difficile da arginare, la rabbia di anni sta prendendo il sopravvento, la paura è svanita perché in fondo forse è meglio morire dignitosamente che avere una vita che mai potrà essere vissuta.

La gente chiede libertà, la fine della polizia morale, vogliono riavere o avere per la prima volta il diritto di esistere, di esprimere il proprio pensiero, di vivere con dignità, di essere liberi in un paese senza più repressione che magari si avvii con l’aiuto occidentale, verso una vera forma di democrazia.

La gente sembra non volersi fermare.

Secondo diversi analisti e media, sembra difficile che il fenomeno innescato da Mahsa Amini si possa fermare qui.

E così, una singola “badhejabì”, una “donna che ha messo male il velo”, ha dato la forza al paese per chiedere ancora una volta un cambiamento, in una fase particolarmente delicata per l’Iran: la salute della sua guida suprema, Ali Khamenei, sembra precaria. 

E precaria ci appare ora la società ideale che hanno voluto creare con la forza, la repressione, la violenza, gli abusi.

L’Iran e le donne di questo paese resistono come possono, ancora più motivati di prima, ancora più forti, meno fragili, meno impauriti.

Avanzano come un piccolo esercito che chiede solo libertà e per questo e molto altro, meritano tutto il nostro rispetto e la nostra ammirazione.

di Stefania Lastoria

 

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