L’Iran e la rivoluzione delle donne: con il velo brucia il regime

Il 22 settembre è stato il quinto giorno delle proteste in Iran con circa 14 morti. Non si tratta più di una semplice rivolta, riguarda tutto il paese non solo il Kurdistan o il sud est arabo, e coinvolge tutte le classi sociali, i poveri così come la classe media. Una rivoluzione che non è esplosa per la povertà. La gente chiede libertà, dice no alla natura stessa della Repubblica islamica.

In prima fila ci sono le donne: bruciano i veli, tagliano i capelli, si scontrano con la polizia. A scatenare la sollevazione popolare è stata l’uccisione per mano della polizia morale, della 22enne curda Mahsa Amini.

Di quanto sta accadendo ha parlato anche il regista curdo-iraniano Fariborz Kamkari, autore tra gli altri dei film I fiori di Kirkuk e Essere curdo e del romanzo Ritorno in Iran.

“Non è una protesta come quelle che si vedono ogni anno, questa è proprio una rivoluzione. Per quattro motivi. Il primo è che per la prima volta in 43 anni la ribellione riguarda tutto il paese e non solo una sua parte, che sia il Kurdistan o il sud est a maggioranza araba. Il secondo motivo è che partecipano tutte le classi sociali nessuna esclusa. Terzo, non ci si è mobilitati per motivi economici, la gente ora chiede libertà. Quarto, oggi la rivolta è contro il regime in sé e lo si capisce dalla reazione compatta di tutte le forze politiche. Bruciare il velo equivale a bruciare la bandiera, il regime ha sempre usato il velo come rappresentazione della propria ideologia.

Oggi la gente però dice no all’intero sistema politico del paese, alla natura stessa della Repubblica islamica.”

Legittimo chiedersi perché ora, se forse tutto è accaduto in seguito alla morte di Mahsa Amini. Risponde sempre Fariborz Kamkari: “Il suo vero nome non è Mahsa ma Jhina. In Iran non possiamo usare nomi curdi, che restano ufficiosi, diversi da quelli ufficiali dei documenti di identità. Jhina significa nuova vita. E questa giovane donna, uccisa perché sotto il suo velo era fuoriuscita una ciocca di capelli che non si dovevano vedere, senza saperlo sta dando una nuova vita al paese.

Stavolta questo episodio gravissimo è avvenuto dopo otto anni di rivolte cicliche, il paese sta soffocando da troppo tempo, si è accumulata piano piano, come polvere da sparo tutta la sofferenza del popolo iraniano. Le persone vogliono libertà. Così se per decenni contestavamo l’obbligo del velo, molti ci rispondevano che di certo non era quello il problema principale. Oggi la gente mostra che si, questo è diventato il problema principale in quanto il velo è la rappresentazione del divieto di libertà. Il velo rappresenta la libertà, la possibilità di scegliere per sé, il simbolo della propria volontà, indipendenza, individualità e riscatto del proprio pensiero.

Il sistema è stato disegnato per togliere alle donne ogni ruolo politico, culturale e sociale. La donna deve essere moglie e madre, il suo dovere è procreare e crescere i figli. Ebbene le donne iraniane non lo hanno mai accettato e sono sempre state motore di cambiamento. Questa è una rivoluzione femminile perché  sono loro che organizzano la piazza, che vanno contro la polizia, che bruciano il velo. E sono sostenute dagli uomini, una grande novità.

I giovani usano Internet, conoscono il mondo fuori, sono più difficili da domare, le università si sono risvegliate. Il 60% della popolazione iraniana ha meno di 30 anni, persone che non ricordano o non hanno partecipato alle grandi rivolte del 1999 e del 2009.

Ora sono anche loro un motore di protesta contro il tentativo di escluderli dal discorso politico e sociale. C’è da dire che nelle grandi città come Teheran i cittadini vengono trattati in modo più morbido ma è nelle piccole realtà o in Kurdistan che vengono gestiti con la violenza. Tra le richieste del popolo c’è la soppressione della polizia morale, che fu una delle prime invenzioni di Khomeini per costruire la sua società ideale. La polizia morale è uno strumento efficace per terrorizzare soprattutto i giovani. E’ davanti ad ogni liceo e a ogni facoltà, controlla come ci si veste, cosa si scrive sui cellulari, ferma le auto in cui ci sono uomini e donne per verificare i loro rapporti familiari.”

Detto questo sembra che l’Iran sia giunto alla resa dei conti. Le piccole rivolte hanno lasciato il posto ad una grande rivoluzione che vuole la fine dell’intera natura del regime e sembra proprio che questa rabbia non svanirà, che il popolo diventato ormai massa difficile da gestire o arginare, stavolta riuscirà a far crollare questo castello di violenze ed ipocrisie.

Noi tutti ce lo auguriamo, per il popolo iraniano, per le donne che hanno dovuto annientarsi, per i giovani che possano costruire un nuovo paese e accarezzare il sogno della democrazia e della libertà.

di Stefania Lastoria