Violenza: l’immemore stadio della memoria

Lo scrittore Alessandro Piperno, tifoso della Lazio, è di origine ebraica. La scorsa domenica 28 gennaio si è recato allo Stadio Olimpico di Roma, come fa da trent’anni, per assistere alla partita Lazio-Napoli. Su impulso della Lega Nazionale Dilettanti, anche la Federazione Italiana Gioco Calcio, con altre associazioni, ha deciso leggere un comunicato e dedicare un minuto di silenzio alla Giornata Mondiale della Memoria, istituita dall’Onu, che si svolge ogni anno il 27 gennaio, per non dimenticare la Shoah, od Olocausto, ossia lo sterminio di sei milioni di ebrei, insieme ad altre etnie e minoranze, operato nei campi di sterminio dalla Germania nazista, guidata da Hitler, negli anni ’40 del secolo scorso. La giornata allo stadio è stata deturpata da grida, fischi, insulti e sberleffi di tipo antisemita sugli spalti. Un tifoso non molto distante da Piperno ha anche urlato: “E basta, ‘sti ebrei hanno rotto il cazzo!”. Già nell’ottobre del 2017, lo scrittore era stato testimone, sempre all’Olimpico, di un altro agghiacciante sfregio alla memoria della Shoah, da parte dei tifosi laziali. L’uso della foto di Anna Frank in maglia giallorossa, per offendere i romanisti. E d’altronde anche questi ricambiarono lo sfregio nel 2019, dicendo che le maglie di Lazio e Napoli avevano gli stessi colori della bandiera di Israele, ossia – scrivevano – erano merde simili. 

Certo gettare il ricordo della Shoah in quelle incandescenti fosse dell’antisemitismo e del razzismo più in generale che sono gli spalti degli stadi, non sembra una decisione molto oculata. Lo stesso Alessandro Piperno, che ha dichiarato di non volere più mettere piede allo stadio, ha sempre avuto forti riserve – e non è il solo – sul rendere quella giornata istituzionale, paludata da una ufficialità impositiva statale, di legge. Per l’antisemitismo mai sopito, sempre serpeggiante e pronto a riaffiorare sotto la pelle della società – come sostiene da anni lo stesso Piperno – è “il dono più prezioso che le istituzioni abbiano fatto all’antisemitismo: il pascolo ideale per ogni buon razzista”. 

D’altronde è tutta questa ricorrenza del 27 gennaio 2024 a ricadere sotto l’effetto odio da stadio. È come se tutto il mondo, non solo l’Italia, fosse un immenso catino di calcio, in cui è impossibile trasmettere dagli altoparlanti un memento sui massacri di ieri per impedire quelli di oggi e domani. La guerra tremenda in atto dal 7 ottobre 2023 tra Hamas e Israele non poteva che tornare a scoperchiare i tombini del più maleodorante antisemitismo e razzismo. Guerra che si va allargando in cerchi concentrici in tutta quella già critica e martoriata area mediorientale, travolgendo ogni possibilità di tornare a quella memoria specifica, unica, che proprio in ragione della sua singolarità, in questo momento sarebbe più che mai necessario, anzi indispensabile richiamare alla coscienza. Esattamente nelle inedite possibilità offerte dalla potenza tecnica, la follia della potenza di Stato, trovò la possibilità di produrre velocemente milioni di morti secondo i tempi e metodi d’un’immane catena di montaggio industriale. Parole come persona, o simili, erano rigorosamente vietate nei campi. Il termine da usare obbligatoriamente era pezzi, esattamente come in una fabbrica. I pezzi più grandi, ossia di corporatura umana maggiore, andavano bruciati prima, perché impiegavano di più a ridursi in cenere. Il fungo delle atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki fu un’altra spaventosa espressione della follia di potenza declinata attraverso le disponibilità di una potenza tecnica mai prima sperimentata e attuata.

E oggi tale potenza, non solo si è accresciuta, ma si è diffusa, ramificata, come le metastasi di un tumore inarrestabile, diffuso – sebbene in proporzioni diverse –  tra tutte i lati del poligono di forze mondiali. Il fatto che sotto il cielo planetario gravitino circa 12.500 ordigni nucleari non impedisce che sui vari scenari bellici le guerre assumano un assetto in conformità alla propria possibilità di potenza tecnica. Israele detiene – anche se non ufficialmente – un centinaio di bombe atomiche e il suo ministro Amihai Eliyahu ha detto che sganciarne qualcuna su Gaza resta pur sempre un’opzione possibile. Anche perché l’Iran non disponendone al momento di nessuna, non può neanche potenzialmente minacciare alcuna rappresaglia. Ma anche l’opzione nucleare fosse non solo minacciata, ma concretamente attuata su Gaza, questo impedirebbe che le altre forme di guerre a bassa intensità tecnico-militare si intensificassero. Anzi, il ricorso al nucleare offrirebbe l’occasione per diffondere anche tra il frastagliato arcipelago di milizie armate, non solo mediorientali, l’armamento atomico tattico, costituito da armi leggere anche individuali che sparano nucleare. 

In questo incombente scenario non può esserci più memoria ufficialmente condivisa a livello planetario. È ormai la stessa Onu – ossia l’Organizzazione che ha istituito nel 2005 la Giornata Mondiale della Memoria – a subire aperti attacchi, distacchi, taglio secco dei finanziamenti da parte di un numero crescente di nazioni occidentali che la compongono. A una terza guerra mondiale a pezzetti, non può che corrispondere una memoria a brandelli.

Nel sottosuolo della civiltà resta così solo l’immemoriale, ossia quel deposito strutturale di violenza contro l’essere che non ha alcuna necessità di venire ricordato, dato che costituisce lo stato di sterminio umano permanentemente ricorrente nella storia.

Riccardo Tavani 

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