Suor Nelly e il suo sapere essere madre per le donne in carcere

Suor Nelly, una donna straordinaria che ha conosciuto la povertà materiale e la ricchezza degli affetti fin da quando era bambina, accanto ai genitori e a 7 fratelli, con pochissimi soldi ma pieni di un amore incondizionato. 

La ricchezza più preziosa che il tempo le ha dato poi modo di apprezzare.

Da piccola sognava il matrimonio e dei figli. Oggi i suoi figli, o, meglio, le sue figlie, sono le detenute nel Centro penitenziario femminile di Santiago del Cile: donne che hanno sbagliato, che sono precipitate in fondo e a cui lei tende la corda per tornare a galla. A quell’appiglio, a quelle mani, a quegli abbracci, a quell’ascolto tutte si aggrappano, per riempire quel vuoto che sentono dentro e che trovano fuori.  

Suor Nelly Leòn Correa ha 65 anni, sorriso aperto e occhi che sprigionano dolcezza, affetto ed amore. La incontriamo via Zoom quando il fuso orario e gli impegni le lasciano uno spazio di conversazione. 

«Da ragazza non sapevo bene quale fosse la mia strada, studiavo a Santiago, unica di tutta la mia famiglia con il fine di diventare insegnante di religione e intanto mi mantenevo lavorando come domestica. I soldi non c’erano ma la voglia di andare avanti ed aiutare il prossimo, quella la percepivo forte in me. La svolta è arrivata quando ho assistito, impotente, all’abuso su una bambina di appena sette anni da parte di un adulto. Allora ho capito che dovevo cercare un riparo dove ascoltare l’inquietudine del mio cuore e il desiderio di aiutare le ragazze più povere e indifese. Ho iniziato a dialogare con un sacerdote che mi prospettò un percorso che non avevo mai considerato, la vocazione religiosa. Trovai la mia casa nella Congregazione del Buon Pastore e seguendo le orme della fondatrice ho iniziato ad accompagnare le donne più fragili, in particolare quelle private della libertà, prima a Valparaiso, poi a Santiago».

Suor Nelly apre una casa di accoglienza per le donne che escono dal carcere, forma una rete di collaboratori e infine la Fondazione “Mujer, Levàntate” (donna alzati) che assiste circa 250 donne ogni anno. E’ molto attiva nel più grande carcere del Cile, luogo in cui le condizioni di vita sono miserabili e non c’è il minimo rispetto della dignità delle detenute. 

Suor Nelly, si sente più madre o sorella delle sue ragazze? 

«Madre – risponde lei senza alcuna esitazione – me lo dicono anche loro: io chiedo di chiamarmi sorella ma loro rispondono che sono la loro mamma. In me vedono il volto materno che nella maggior parte dei casi è stato negato loro nell’infanzia. E così, come una mamma, durante il Covid mi sono trasferita in carcere, dormendo per 18 mesi su una brandina posta nell’ufficio e condividendo i pasti con le detenute. Molte di loro si sono ammalate, io no. In quel periodo chiusa nel carcere, senza mai poter uscire, mi sono sentita protetta da Dio. Del resto dovevo restare sana per aiutare le altre donne, per accudire le mie figlie».

Dunque Suor Nelly per mesi è stata il loro unico ponte con l’esterno: procurava prodotti per l’igiene personale, preparava limonate con il miele, recapitava notizie sui figli… È così che ha aiutato una detenuta malata di cancro in fase terminale a morire a casa sua, accanto al padre. «Era molto povera, era stata condannata per spaccio di una piccola quantità di droga. Nessuno la rivoleva a casa, il marito aveva già un’altra compagna, i figli non ne volevano sapere di lei. L’abbiamo aiutata a uscire dal carcere, è morta accanto al padre dopo soli 3 mesi». 

Aver condiviso la prigionia con le detenute è stata l’esperienza più bella della sua vita. 

Gli incontri con gli psicologi e gli assistenti sociali sono fondamentali, ma altrettanto lo è l’abbraccio di Dio attraverso il volto, lo sguardo e la fiducia che suor Nelly ripone in ciascuna di loro quando arrivano nella casa della Fondazione per il loro percorso di reinserimento nella società. 

E’ quella forse l’unica occasione in cui queste donne sperimentano la bontà e l’amore nella loro vita, nonostante gli errori che hanno commesso e senza che nessuno chieda niente in cambio. 

Suor Nelly il mese scorso ad Abu Dhabi ha ricevuto il Premio Zayed per la Fratellanza Umana e con l’assegno ricevuto, conta di raddoppiare il numero di donne seguite a cui tendere la corda per tornare a galla. E a quell’appiglio, a quelle mani, a quegli abbracci, a quell’ascolto tutte si aggrappano, per riempire quel vuoto che sentono dentro e che trovano fuori. 

Solo all’inizio. 

Solo prima di conoscere questa straordinaria donna.  

Stefania Lastoria

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