Fela Kuti, giustizia e musica per la nostra Africa

A un film quello vogliamo dedicare questo numero della nostra rubrica. Si tratta di Fela – Il mio dio vivente, di Daniele Vicari, in uscita il prossimo 21 marzo in tutta Italia. Non è la prima volta che facciamo ricorso al cinema per scrutare la zona sottostante la pelle della realtà, della coscienza, o dell’inconscio collettivo. Lo abbiamo già fatto alla vigilia del Natale 2021 con Don’t look up, il film di Adam McKay, con Jennifer Lawrence e Leonardo Di Caprio. È il dramma in chiave satirica sulla minaccia di una cometa la cui traiettoria si stava approssimando catastroficamente alla Terra, nell’indifferenza dei riti di autocelebrazione e corruzione della politica, con una feroce messa in berlina dei demenziali ma reali progetti spaziali di Elon Musk, tra cui l’esplosione di una dozzina di bombe atomiche sul pianeta Marte per modificarne l’atmosfera e renderla respirabile dagli umani. 

Il sottosuolo della realtà-coscienza, invece, questa volta non arriva dal futuro dello spazio stellare, ma direttamente da quel passato del pianeta Terra che sprofonda fino alle radici dell’origine umana. Radici originarie che attecchiscono e crescono rigogliosamente in Africa con la comparsa dell’Homo abilis, già due milioni e mezzo di anni fa, fino a evolvere alla forma del Homo sapiens, di 250.000 anni fa, che si diffonde poi sull’intero pianeta. E che l’Africa sia il continente depredato, spogliato di umanità e risorse, prima dalla rapina colonialista, poi da quella finanziaria imperiale-globalista è un simbolo lacerante. Simbolo di un assalto all’ambiente naturale che è al contempo un’aggressione alle originarie condizioni di vita umane, in quanto da esso inscindibili.  

Il Fela del film di Daniele Vicari è il nome di Fela Anikulapo Kuti, o più semplicemente Fela Kuti, il musicista, cantante, politico rivoluzionario di Lagos, Nigeria, che negli anni ’70 del secolo scorso ha lanciato nel mondo i ritmi musicale dell’afro beat. E anche fondatore della comunità Repubblica di Kalakuta. A seguito dell’enorme successo e scalpore popolare suscitato dal suo album Zombie, nel 1977 la comunità che è assaltata da più di mille poliziotti del corrotto regime militarista oggetto di radicale critica politica contenuta nel disco. Lo studio di registrazione, tutte le attrezzature tecniche e musicali sono letteralmente rase al suolo. Sua madre è scaraventata giù da una finestra del piano superiore della casa e muore dopo due giorni. Lo stesso Fela torturato. Le venti coriste e ballerine del gruppo brutalmente picchiate e stuprate. Lui le sposa tutte, perché nella cultura locale una donna deflorata, anche se con violenza, non ha più futuro. Poi, infatti, divorzierà, affermando che nessun uomo deve essere padrone di una donna e del suo sesso.

Fela Kuti è sempre più attuale. In tutto il mondo l’afro beat, il genere da lui lanciato, sta tornando in modo travolgente a essere la musica più suonata, ascoltata, ballata. Già nel 2022 Spotify registrava che l’afro beat aveva avuto 13,5 miliardi di streaming. E il fenomeno del suo ritorno continua a spingere con forza. Il film di Daniele Vicari ha in più un altro preziosissimo valore. Fa rivivere una storia misconosciuta del cinema italiano. 

Quella di un ragazzo, Michele Avantario, che mezzo secolo fa si presenta in casa di Fela Kuti, diventando con il tempo uno delle persona più strettamente vicine a lui. Gira decine di ore di pellicola e raccoglie foto, documenti su Fela, la sua storia, le sue esaltanti e anche drammatiche vicende musicali e politiche, per sintetizzarle un film che le testimoniasse. Tra gli altri le vede Bernardo Bertolucci, il quale vuole lui stesso produrre il film. Non può però realizzarlo, perché le sue condizioni di salute peggiorano e non lo abbandonano più fino alla scomparsa nel 2018. Fela Kuti era scomparso il 12 agosto 1997 a Lagos. Michele Avantario sei anni dopo, nel 2003. 

Tutto quel materiale prodigioso resta sepolto negli scatoloni della sua moglie di allora Renata Di Leone, etiope nata da padre italiano. Renata si è poi sposata con Giovanni Capalbo, attore e produttore cinematografico. Questi un giorno, alla Festa del Cinema di Roma, incontra per caso Daniele Vicari, che non conosceva personalmente, e gli propone di girare lui il film. La forza e la vivezza che scorrono irruenti sotto la pelle di quelle vecchie pellicole non possono restare cieche, mute dentro quei cartoni.. Il pubblico e l’arte hanno bisogno, in maniera inscindibile, l’uno dell’altra, per manifestarsi e completarsi a vicenda. E anche la voce originaria della giustizia che va restituita a tutto il continente africano scaturisce pura, attuale da quelle immagini. “Fela resta il mio dio vivente” sono esattamente le parole che Michele Avantario ha pronunciato nel discorso funebre per Fela Kuti, il suo inseparabile fratello, oltre la morte. 

Per un artista del cinema come Daniele Vicari questo è quasi un imperativo categorico. Si è sobbarcato così la fatica spossante di conferire a quella valanga di immagini un ordine, restituendone tutta la logica poetico-narrativa che le pervade. Le parole che scorrono sotto tutto il film sono quelle  tratte dai diari di Michele Avantario, restituiteci in maniera autenticamente sensibile dalla voce dell’attore Claudio Santamaria. I David di Donatello non potevano lasciarsi sfuggire un riconoscimento, inserendolo nelle candidature finaliste. L’African Diaspora Cinema Festival, un festival itinerante di base a Firenze, sta attivamente partecipando a far conoscere il film presso le comunità nigeriane e africane in Italia. Distribuito da Luce Cinecittà, l’anteprima nazionale del film è a Roma il 19 marzo, alle ore 21, al Cinema Farnese. Poi, dal 21 marzo si prevede già ora che saranno in tanti a non lasciarsi sfuggire quest’opera di alto valore cinematografico, poetico, storico e politico. 

Riccardo Tavani