Il taglio dei parlamentari. Un paradosso pari a una bufala?
Secondo il vocabolario Treccani, la parola “bufala” ha un significato complesso: può indicare un errore marchiano, una fandonia, o una cosa di scarso valore. È un vocabolo proprio calzante, se si pensa ad alcune iniziative politiche, che sono contemporaneamente errori, panzane e cose di scarsissimo valore.
Tra le tante bufale sfornate ultimamente dalla politica, vince per distacco la riforma costituzionale del numero dei parlamentari.
È bufala, perché è una fandonia dire che serva a migliorare il bilancio dello Stato. Il nostro “buco” era di 2.316,7 miliardi di euro a fine 2018, e sappiamo che oggi è aumentato. Perciò, il risparmio previsto incide per meno dello 0,004% sul debito pubblico, ammesso che raggiunga, come sperano i più ottimisti, il traguardo dei 100 milioni/anno; per meno dello 0,002%, se è vera, invece, la stima di Cottarelli. Certo, meglio che uno zippo in un occhio, per restare nel lessico romanesco. Ma è anche un modo per far finta di voler affrontare un problema, senza avere nessuna intenzione e scarsa capacità di risolverlo. Esistono, infatti, soltanto due modi per cominciare a risolvere i nostri problemi di finanza pubblica.
Il primo riguarda il funzionamento dello Stato, articolato com’è nei livelli europeo, nazionale, regionale, provinciale (pardon: di area metropolitana) comunale, di comunità montane e isolane, di municipio e di aziende sanitarie, ospedaliere e partecipate, e di un coacervo di enti: una macchina pletorica e dispendiosa, mai affrontata con la necessaria serietà e, soprattutto, intelligenza. Una riduzione dell’1% della spesa relativa (che supera gli 850 miliardi/anno) frutterebbe più di 8 miliardi, cioè 800 volte il risparmio ottenibile (forse) col taglio dei parlamentari.
Il secondo riguarda l’evasione fiscale. Per ogni punto percentuale in meno di evasione, avremmo all’attivo ben più di un miliardo, cioè più di dieci volte il risultato della bufala, considerato che il “fatturato” dell’evasione supera abbondantemente i 100 miliardi l’anno (stima molto prudenziale del MEF). Che pacchia se riuscissimo a ridurre l’evasione di 4-5 punti percentuali, che non è poi un traguardo impossibile! Basti pensare che la sola fatturazione elettronica dovrebbe portare 4 miliardi in più nelle casse dello stato per il 2019 (secondo una stima non del governo, ma de Il sole 24ore, che le tasse non le ha mai difese).
In effetti, se in Italia c’è una casta che si dovrebbe colpire e ridurre drasticamente di numero, è quella degli evasori fiscali. Sono loro i privilegiati che fruiscono di scuole, ospedali, strade, protezione civile, polizia… eccetera eccetera, a spese di una minoranza di onesti; girano in SUV, ma scavalcano qualunque impiegato statale nella graduatoria per l’asilo nido. E, come se non bastasse, è a causa loro che le tasse sono così alte. Infatti, oltre la metà dell’IRPEF grava sul 12% degli italiani, e non perché siano i più ricchi. Ciò nonostante, quasi non c’è governo che non gli regali un condono, rinviando alle calende greche le tanto auspicate misure di contrasto.
È bufala, poi, perché è un errore. La riduzione dei parlamentari è stata tentata già due volte dalla “casta”, e bocciata due volte dal popolo, con il voto referendario.
Ma allora è vero che noi cittadini non contiamo un… niente? E siamo sicuri che sia un provvedimento anti casta, se proprio la casta ci ha provato già altre due volte?
È questo il paradosso, più misterioso di quello di Zenone.
Ragioniamo: il taglio rende inevitabile una trasformazione in senso proporzionale della legge elettorale, per evitare un deficit di rappresentanza (cioè fette di popolazione che non riescono ad eleggere nessuno). Il proporzionale, unitamente alla riduzione del numero degli eletti, darà più forza alle segreterie di partito o, comunque, a chi decide le liste elettorali. Perciò gli eletti saranno ancora più “casta”: dipenderanno ancor meno dagli elettori, e ancor più da chi ha il potere di metterli in lista, possibilmente in posizione vantaggiosa. Che, qualche volta, è una segreteria di partito, ma altre volte è un capo-azienda, come Berlusconi o Casaleggio. E poi, ora come ora, il taglio dei parlamentari creerebbe di fatto una soglia di sbarramento superiore al 10%, eliminando dall’agone politico tutti i partiti minori, che è da sempre il sogno della “casta”.
Infine, è bufala perché di scarso valore. Infatti, non si capisce a che cosa mai possa servire, se non a segnare un punto a favore di un partito, dimostrarne la coerenza: coerenza, sia ben chiaro, nel sostenere una bufala.
Sebbene di questo si tratti, in tutte e tre le accezioni previste dal vocabolario, pochi osano contraddire il principio che sia giusto ridurre i parlamentari. Perché, in effetti, come ogni bufala che si rispetti, riesce ad ingannarti: ti fa credere che colpisca la “casta”, ma in realtà la rafforza. Ti fa credere che si risparmi, ma in realtà è l’ennesimo alibi per non risparmiare.
Ecco perché, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, la “casta” parlamentare l’ha votata con una maggioranza davvero bulgara. Si è mai vista una casta votare contro sé stessa, e a così larga maggioranza?
Se di casta si tratta, lo ha fatto per fregarci; se no, lo ha fatto per il nostro bene: ma, in tal caso, questo “taglio” come lo giustifico?
Davvero paradossale!
di Cesare Pirozzi