Il Job Act francese, la Loi Travail

Oltralpe, come già in Italia (ma i francesi son ben altra cosa…)

Dopo che in Europa, l’ex sindaco di Firenze ha aperto la via al progressivo smantellamento dei diritti dei lavoratori, oggi anche il governo francese (ufficialmente di sinistra) sta cercando di modificare la propria legislazione del lavoro, con una legge chiamata Loi Travail.

I punti fondamentali oggetto di questa riforma, presentata dal ministro del lavoro, Myriam El Khomri, fondamentalmente sono: 1) facilitazione al lavoro straordinario, con un possibile abbassamento di costo (attuale disincentivo) ed aumento dei tetti orari massimi (anche per gli apprendisti); 2) limiti ai risarcimenti (tra 3 e 15 mensilità), in caso di licenziamento senza giusta causa; 3) scorporamento delle ore di reperibilità, in caso di non-chiamata, dal computo dell’orario lavorativo (loro equiparazione al riposo); 4) il committente, per la previsione di giornate di lavoro interinale, non dovrà più sottostare necessariamente ad accordi collettivi e le 11 ore di riposo di queste, previste tra un turno e l’altro, potranno essere frazionate; 5) invece della previsione di licenziamenti collettivi soltanto a causa di comprovata crisi, o di evidenti cambiamenti tecnologici, con questa legge basterà il voler riorganizzare l’azienda, per mantenerne la competitività, per procedere a questi.

Al di là dell’aspetto sciovinistico (giammai i francesi, avrebbero usato un esterofilo e discutibile nome anglosassone, quale “Job Act”) e di qualche differenza tecnica, dovuta alle differenti legislazioni precedenti, quello che accade in Francia mostra un’evidente differenza di carattere, tra i cugini francesi e noi italiani: come si può facilmente vedere, lassù, la mobilitazione in difesa dei diritti è una cosa seria e non è portata avanti con qualche post sui social, o con qualche manifestazioncina di pochi sindacalizzati, magari non tutti esemplari.

In Francia, le diverse mobilitazioni delle molteplici sigle sindacali, portano in piazza almeno mezzo milione di militanti “a botta” e i cortei sono ben presidiati dalla polizia, perché gli scontri coi casseurs, sono roba seria e ricordano più i moti di piazza di disperati rivoluzionari, che lo sfogo di qualche annoiato figlio di papà col rolex, che si diverta a sfasciare qualche vetrina…

Là dove le differenze sociali sono ancora più marcate che da noi, nel paese delle banlieues, in cui c’è così tanto disagio da creare tante fucine per la produzione di terrorismo, gli ultimi di quel mondo non si lasciano né ricattare dalla paura di perdere tutto, né convincere che sacrificando qualche diritto si possa poi trovare più facilmente lavoro. Nel paese di Marianna, scioperano tutti coloro che lo ritengono giusto, prescindendo dal fatto d’essere tutelati o meno, perché quello francese non è un popolo che si tenga buono con “panem et circenses” e che lasci fare ai Berlusconi di turno, spazzatura delle proprie leggi.

In Francia, dove le rivoluzioni le hanno fatte sul serio e dove i tiranni son stati linciati dal popolo (e non da una ristretta élite di partigiani), più e più volte abbiamo visto come la mobilitazione riesca piegare il potere. A differenza dell’Italia, dove molte proteste vengono fatte a suon di certificati medici, o di astensioni bianche (per non sacrificare nemmeno la retribuzione), come ha ben dimostrato nel corso degli anni, il popolo francese è ancora capace di aderire ad una mobilitazione, pur se questa non abbia ad oggetto la lesione diretta di un proprio diritto.

Ed i governanti francesi, che lo sanno, non prestano arrogante sufficienza verso le masse in piazza e se la mobilitazione diviene cosa seria, capiscono che debbono almeno scendere a compromessi, debbono essere disposti a trattare: là dove il popolo ha ancora la consapevolezza di essere sovrano, non c’è posto per tele-conferenze addomesticate, infarcite di slides e slogan ad effetto e non c’è posto per la messa in discussione dei diritti.

L’Entranger

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