Salvare le biblioteche: terapia intensiva dello spirito

Salvare le biblioteche come cibo comune contro la comune carestia spirituale, come vaccino contro l’epidemia dell’ignoranza, come culla per la mente e dunque contro il ritorno di guerre e fascismi.

“Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”. La celebre metafora scelta dall’Adriano di Marguerite Yourcenar è ancora forse la più potente, tra quelle immaginate nel secondo dopoguerra (le Memorie di Adriano escono nel 1951) per spiegare il nesso tra libri pubblici e futuro.

Sarebbe forse il caso di chiederci se tra le cause del nostro eterno inverno interiore, che ormai da decenni congela ed estingue la nostra comune umanità non ci sia anche la nostra incapacità di fare come Adriano: tanto più priva di logica o scuse laddove si rammenti che a noi non è stato chiesto di fondare nuove biblioteche, ma “solo” di non far morire quelle che i nostri padri ci hanno lasciato come seme di futuro.

Ebbene dopo questi mesi funestati dal Coronavirus, in questi giorni riaprono le biblioteche pubbliche italiane la cui chiusura non ha sollevato lamento alcuno.

Ma come li troviamo, questi granai dello spirito, ora che possiamo vederli con occhi nuovi? La risposta più consapevole ma anche più preoccupata viene da un bellissimo editoriale appena apparso sulla rivista Culture del testo e del documento, firmato da Attilio Mauro Caproni, già bibliotecario alla Nazionale di Roma, ordinario di Bibliografia e fondatore del primo dottorato italiano in Scienze Bibliografiche a Udine.

Si tratta in realtà di una garbatissima lettera al ministro Franceschini in cui vengono sviscerate le tante cose che non vanno e a cui occorre porre rimedio. Il rosario di afflizioni snocciolato da Caproni è lungo, e puntuale. Eccone alcuni grani:

“Signor Ministro, non prova un forte senso di imbarazzo, forse vergogna (mi scusi per questa espressione così forte), e di disagio nel vivere e amministrare uno Stato dove le biblioteche sono relegate in uno squallido parterre? Le “assenze” sono numerose: mancanza direi pressoché assoluta di fondi finanziari per le acquisizioni di materiali librari e documentari, con danni evidenti per incremento e continuazione delle collezioni bibliografiche; mancanza, molto spesso, di direttori effettivi muniti di una ferma preparazione culturale e manageriale; penuria grave delle unità dei bibliotecari e del personale pertinente in un numero che sia almeno sufficiente per il funzionamento corretto degli istituti librari, e per fare fronte, con dignità, alle esigenze dei lettori; disordine amministrativo della pertinenza delle biblioteche assegnate a direzioni ministeriali diverse, oppure accorpamento di biblioteche a Soprintendenze o Poli museali; mortificazione delle alte competenze di alcuni gloriosi istituti (che hanno rappresentato, da sempre, un’eccellenza italiana); vetustà delle strutture edilizie ormai fatiscenti; una scarsa o una inadeguata informatizzazione delle procedure biblioteconomiche e bibliografiche; mancanza per i lettori appartenenti alle classi culturalmente povere di una didattica per l’uso di una biblioteca”. È il racconto di una disfatta: noi quei granai li stiamo dando alle fiamme, per incuria e ignoranza.

Venerdì 8 maggio il Consiglio Superiore dei Beni culturali ha indirizzato al Ministro un documento con le “Osservazioni e proposte sull’emergenza sanitaria e sulla ripresa” in cui si ribadisce con forza la necessità di assumere archivisti e bibliotecari, che ricostituiscano quel capitale sociale di competenze e professionalità che ormai si stanno completamente perdendo. Il Consiglio ricorda a Franceschini che solo una massiccia campagna di assunzioni a tempo indeterminato consentirà di produrre una conoscenza solida, seria, affidabile: un’operazione governata dal ministero che ricadrà positivamente anche sulle attività dei musei e degli altri luoghi della cultura, anch’esse da ridisegnare nel senso del potenziamento della ricerca e dell’approfondimento di temi rilevanti per la comunità nazionale e per le collettività locali.

La morale è più semplice di quanto si pensi. L’inverno inaspettato del Covid19 ci ha fatto capire che abbiamo bisogno di letti in terapia intensiva e di medici e infermieri assunti dallo Stato e ben pagati. E, al tempo stesso, anche di quei reparti di terapia intensiva spirituale che sono le biblioteche, dove l’ossigeno della conoscenza è offerto a tutti, anche a chi a casa non ha libri, cioè appunto ossigeno. Proprio questo è il punto: se le biblioteche morissero veramente, noi non saremo né cittadini né italiani, ma sudditi senza storia e senza futuro. Come punti fermi, senza un tragitto già percorso e privi di un sentiero da seguire.

di Stefania Lastoria

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