Torino, la piazza della paura

“Pugni e gomitate selvagge, come il colpo che mi ha fatto saltare i denti. La gente correva verso i varchi e per guadagnare un metro picchiava e strattonava chi aveva davanti e dietro, gente con la quale fino a pochi minuti prima stava abbracciata davanti al maxi schermo”.
È questo il racconto di Sara, studentessa di Milano, arrivata a Torino per vedere insieme al fidanzato la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid. C’era anche lei a Piazza San Carlo quando la folla è diventata un’onda che colpiva chiunque. Oltre 1500 i feriti usciti dalla calca, dagli spintoni, dalla fuga.
Ancora ignota la causa del disordine. Molti parlano di un esplosione, di una balaustra che ha ceduto. Le immagini invece raccontano altro: c’è un ragazzo a petto nudo, braccia aperte e zaino sulle spalle. Un suo amico urla “è un attentato!”. La folla inizia a scappare, si crea il vuoto intorno ai due, subito riconosciuti dagli inquirenti e portati in questura, dove sono rimasti per oltre 10 ore.
Uno scherzo, una bravata di pessimo gusto. Proprio nella stessa serata in cui, a Manchester, un altro attentato colpiva il concerto di Ariana Grande facendo 22 morti e 120 feriti, la maggior parte dei quali bambini.
Non c’era nessuna bomba a Piazza San Carlo, ma la paura ormai c’è sempre. È una psicosi terrorismo che coinvolge tutti, crescendo vertiginosamente nei posti in cui la folla si concentra: davanti al maxischermo o in metropolitana poco importa.
È una paura che a Torino si vede soprattutto il giorno dopo: centinaia di zainetti e borse abbandonate nella fuga, fazzoletti e giornali sporchi di sangue, addirittura i muri macchiati da schizzi. “Ho fatto più suture in un giorno che in 16 anni di pronto soccorso. Ma alla fine li abbiamo curati tutti” così Laura, 36 anni, infermiera all’Ospedale Molinette di Torino: “Arrivavano bambini in macchina con la guardia di Finanza, tassisti che ci lasciavano gente all’ingresso, persone a piedi, in pullman. In dieci minuti è piombata una folla immensa, in un’ora e mezza erano 200 i registrati e poi non si riusciva nemmeno più conteggiare, non c’era personale per prendere dati perché tutti medicavano. Era come se fosse in atto un triage di guerra”.
Una guerra strana e inusuale, sotterranea e nascosta. Che fa vedere i suoi effetti dove meno te l’aspetti, nella paura di tutti i giorni.
Nella tragedia però, alcune buone notizie: il piccolo Kelvin, bambino di 7 anni di origini cinesi inghiottito dalla folla, è uscito dal coma. Deve dire grazie ai medici e a due ragazzi, Mohammad Guyele, 20 anni, e Federico Rapazzo, 25. Lo hanno strappato dalla tempesta di gambe e persone che lo stavano massacrando e lo hanno portato in ospedale. La paura non vince sempre.

di Lamberto Rinaldi