L’attivista Magda Zenon e la sua scommessa di riconciliazione per Cipro, l’isola divisa in due
Esattamente vent’anni fa l’isola di Cipro è entrata nell’Unione Europea, ma oggi come allora resta un luogo tagliato a metà, con una storia recente tormentata dalle tensioni e dalle violenze tra le due comunità etniche principali, quella greco-cipriota e quella turco-cipriota. Dal 1974 sul suo territorio infatti esistono due Stati, uno abitato da greci nella parte sud-occidentale (riconosciuto internazionalmente come unico governo legittimo dell’Isola) e uno abitato da turchi in quella nord-orientale (l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro Nord – Kktc – che beneficia del solo riconoscimento di Ankara).
Anche la capitale Nicosia (Lefkosa in turco) è divisa da una barriera di cemento e filo spinato.
Per certi aspetti la linea di demarcazione divide l’Occidente, greco e di religione cristiana, dall’Oriente turco e di religione musulmana. Ultimo muro d’Europa che ancora oggi serve a separare alture, spiagge, litorali ma anche vicoli e vecchi palazzi della capitale, a una manciata di chilometri dalle coste di Siria e Turchia.
Proprio da Cipro provengono i genitori di Magda Zenon anche se lei è approdata nell’isola solo da adulta in quanto, per uno scherzo del destino, è nata e cresciuta nel Paese delle separazioni e delle divisioni per eccellenza, il Sudafrica dell’apartheid.
Oggi è un’attivista per la pace, il dialogo e i diritti umani, convinta che le donne, come gli altri gruppi sociali da sempre tenuti fuori dalle “stanze dei bottoni”, debbano essere parti attive dei processi decisionali e dei colloqui di pace, se si vogliono raggiungere buoni accordi, che poi durino.
L’aver vissuto nel Sudafrica dell’apartheid è stato fondamentale per la persona che è diventata oggi, già da adolescente era ben consapevole dell’ingiustizia attorno a lei e apertamente la denunciava senza paura.
Lì ha maturato il senso di iniquità che l’ha letteralmente travolta, prendendo sempre posizione, combattendo a suo modo e facendo sentire il suo dissenso.
Arrivata a Cipro è stato lo stesso, era curiosa di vedere la Green Line (la linea di separazione tra il Nord dell’isola dei turco-ciprioti e il Sud dei greco-ciprioti) perché allora oltrepassarla non era così semplice. Di nuovo si trovò a percepire quel senso forte di ingiustizia.
Essere al fianco di chi viene lasciato ai margini ha sempre fatto parte delle sue priorità di vita.
Quando le hanno chiesto cosa ostacola la partecipazione femminile ai tavoli di trattativa, lei ha risposto: “Credo che la sfida più grande sia posta dal sistema etnico-patriarcale. Cioè tutto è pensato in termini di appartenenza etnica e di genere maschile e ogni altra forma di diversità o di gruppo marginale è spinta fuori dal quadro. Un altro ostacolo è la struttura stessa dei negoziati di pace, che è verticistica. La persona che entra nella stanza dei bottoni, di solito il negoziatore o il presidente, è un uomo. A lui spetta l’ultima decisione. Non si tratta di un gruppo di individui di provenienze diverse, non c’è una struttura orizzontale. Quando poi si discute di pace e conflitti, si parla solo di coraggio ed eroismo maschile, mentre sofferenza e dolore sono di solito cose da donne. Non si presenta mai un contesto generale, universale. Le donne come vittime e gli uomini come eroi. Cambiare la rappresentazione di chi soffre, anche questo significa essere parte delle trattative.
Non basta ci sia una donna, occorre che al tavolo ci sia una prospettiva di genere. Se si vuole un esempio, si osservi quando nei colloqui di pace si discute di sicurezza: si parla di frontiere, eserciti, scontri, ma non di sicurezza umana, non si parla di come mettere la popolazione in salvo, né di sicurezza alimentare. La questione della sicurezza umana è uno dei punti fondamentali della prospettiva di genere. Dobbiamo tenere le persone al sicuro. Portare in trattativa le donne e l’agenda sulla loro sicurezza significa nei fatti includere tutti”.
In altre parole servono mediatrici al tavolo delle trattative per cambiare l’immagine che si ha davanti agli occhi. E’ fondamentale per non continuare a osservare uomini in completo grigio prendere decisioni. Così ad esempio a Cipro, dopo molte pressioni, si è cercato di provvedere istituendo nel 2015 un Comitato tecnico sull’uguaglianza di genere. Ma si è solo spuntata una casella, il sistema patriarcale continua a manifestarsi con evidenza.
Quella che si sta promuovendo ora, e di cui anche Magda Zenon fa parte, è un’iniziativa condotta da donne per istituire una commissione per la riconciliazione. Se non si fanno i conti con il passato, non si sarà mai pronti al cambiamento. Su quest’isola ci sono stati massacri, atrocità, stupri, ma nessuno ne ha parlato. All’epoca della guerra del ’74, l’unico riconoscimento del fatto che fossero avvenuti stupri è stata la modifica di una legge per consentire l’aborto alle vittime di violenza. Non si è tenuta alcuna discussione pubblica. Le donne non sono state incluse nel dibattito, il tema non è stato portato al tavolo.
Proprio di donne, pace, sicurezza e violenza di genere tratta una risoluzione simbolo dell’Onu, la numero 1325 del 2000.
Da allora c’è stato sicuramente un mutamento, perché ora è parte della discussione generale il fatto che violenze e stupri contro le donne siano usati come armi di guerra. Il dibattito sul tema è una questione di grande rilievo, non trattata ancora con una sufficiente presa di responsabilità, ma un cambiamento c’è stato. Negli ultimi anni, molte reti di donne mediatrici sono sorte. Non sarebbe stato possibile senza la 1325. Dal 2000 si vedono poi più donne ai vertici delle Nazioni Unite. Non a caso, dopo quella risoluzione, la nuova inviata delle Nazioni Unite sull’isola, è una donna, Maria Angela Holguin Cuellar, ex ministra colombiana.
È conosciuta per la sua disponibilità ad ascoltare la società civile. Non è solo il fatto che sia una donna, a far ben sperare è che porti a Cipro queste due qualità, e che sia inclusiva.
Dunque la prova che se le donne facessero parte dei processi decisionali o dei dibattiti collaterali, le cose prenderebbero altre direzioni, perché ciò che sempre è mancata è stata la diversa prospettiva femminile di osservare le stesse cose con occhi diversi, quelli che hanno la loro radice nell’anima, nella loro propensione quasi materna a curare il dolore, ad accarezzare le ferite invisibili di chi porta dentro sofferenze indicibili.
Solo con quegli occhi si può cambiare il mondo.
Stefania Lastoria