La rabbia del vento, S. Yizhar
Palestina, 1949
Questa è la narrazione di una missione affidata a un drappello di soldati dell’Idf, l’esercito israeliano. La missione consiste nello sfollare un villaggio, che era stato definito “covo di dissidenti e terroristi”. Per i soldati israeliani, questa è una passeggiata, quasi una gita. Durante la marcia verso il villaggio, intonano canti, ridono e scherzano. La guerra è ormai lontana.
Tuttavia, quando arrivano al villaggio, si trovano di fronte a donne, vecchi e bambini. Il narratore rimane scosso da questa sorpresa, ma al resto dei soldati non sembra interessare l’età o il genere di chi ha davanti, loro vedono il nemico.
Masse di nemici, che vigliaccamente si sottomettono, senza combattere per quel pezzo di terra, senza sparare, senza resistere.
Ignorano le urla, i pianti delle madri a cui vengono strappati via i figli.
Scacciano qualunque dei vecchi del villaggio che cercano di comunicare con loro.
Già pregustano le nuove costruzioni, pensano a come divideranno i terreni. Quella terra è già loro.
Hanno vinto e adesso possono tornare a ridere, fumare e giocare ai vincitori.
Tutti tranne uno.
Il narratore, per la prima volta, trema di fronte a queste immagini, si sente incerto di ciò che sta facendo, ripensa agli ordini che gli erano stati impartiti prima di partire.
Dove sono i terroristi?
Dove sono finite le pallottole che li minacciavano?
Una volta assaggiato il sapore amaro dell’ingiustizia è difficile mandare giù il boccone come se niente fosse e così comincia a diventare impossibile restare lì, in quella terra di massacri.
Ogni volta che viene sparato un colpo, spera che questo manchi il bersaglio.
Ad ogni granata lanciata, confida in un errore di calcolo della traiettoria.
Com’è possibile che stiano facendo questo? Loro, i figli dei deportati, delle vittime dell’olocausto.
Loro che sanno cosa vuol dire perdere tutto per mano nemica.
Ed è proprio questo che l’io narrante vede mentre i suoi compagni trasportano i prigionieri, dal villaggio al punto di raccolta: i loro padri.
Vede le loro madri, che urlano, graffiano, pronte a dare la vita pur di proteggere le proprie creature.
Vede i loro nonni, deboli, indifesi, che faticano a respirare sotto il sole cocente.
Vede i loro fratelli, senza armi per difendersi, senza speranza da coltivare, di fronte a un nemico troppo potente.
Non capisce, cerca incessantemente di trovare un motivo, ma niente sembra poter giustificare quella barbarie.
Il narratore così si rende conto di ciò che sta compiendo, di chi ha accanto. Quella non è una guerra, quello è un massacro.
Massacro ordinato dai loro stessi padri.
Palestina, 2024
Il giorno Martedì 7 Maggio, Israele bombarda la città di Rafah.
Il giorno Martedì 7 Maggio, Israele bombarda la città di Rafah, dopo aver negato ad Hamas la tregua.
Il giorno Martedì 7 Maggio, Israele bombarda la città di Rafah, dopo aver negato ad Hamas la tregua, uccidendo 20 civili, inclusi donne e bambini.
Il giorno Martedì 7 Maggio, Israele bombarda la città di Rafah, dopo aver negato ad Hamas la tregua, uccidendo 20 civili, inclusi donne e bambini, che si vanno così ad aggiungere alle altre 40.000 vittime, rimaste coinvolte nel massacro.
Io vedo ancora quegli uomini che sparano sulla folla ridendo.
Vedo le madri che gridano e si dimenano.
Vedo i bambini schiacciati dalle travi.
Non vedo una guerra.
Vedo un massacro.
Luca Baldi